Dalle prime prudenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Frattini fino alla ferma condanna della violenza, breve rassegna delle prese di posizione del governo italiano sulla crisi maghrebina
Libia, Frattini: "Stop al bagno di sangue"
Frattini: "Sulla Libia l'Europa non deve interferire"
Libia, Gheddafi: "Non lascio. Morirò da martire"
“C'è un limite. Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo non levare la nostra voce”. E’ il 23 febbraio. Dalla Libia di Muammar Gheddafi arrivano notizie allarmanti di combattimenti e stragi. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini dice basta.
E, nonostante la prudenza dettata dai centinaia di italiani che vivono in Libia, dagli interessi economici del nostro Paese e dal rischio di una islamizzazione della regione,
si unisce a Ue e Onu nel chiedere che cessi immediatamente “l'orribile spargimento di sangue” che “la leadership Gheddafi ha annunciato e sta continuando a fare”.
Una presa di posizione netta, che sembra porre fine a chi ha duramente criticato nelle ultime settimane le ambiguità del governo italiano e del titolare della Farnesina, in particolare. “Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia”, aveva detto Frattini solo tre giorni prima, il 21 febbraio. Parole che avevano scatenato polemiche. Simili a quelle che ancor prima erano piovute addosso al ministro degli Esteri per la linea tenuta di fronte agli scontri in Tunisia ed Egitto, in un difficile equilibrio tra vecchie alleanze e nuove rivolte.
TUNISIA – E’ l’8 gennaio, in Algeria e Tunisia divampa la protesta contro il carovita. Frattini risponde alle accuse rivolte dallo scrittore Tahar Ben Jelloun a Roma e Parigi di essere state troppo deboli nei confronti dei regimi locali: “Sono Paesi che garantiscono stabilità al Maghreb e chi dice cose diverse non ha il minimo senso di responsabilità”, dice il ministro. “L’impegno di Ben Ali contro il terrorismo non può essere sottaciuto”, sottolinea in particolare con riferimento al presidente tunisino.
Il 10 e il 12 gennaio, mentre le radio di Tunisi diffondono le notizie dei morti negli scontri con le forze dell’ordine, il titolare della Farnesina esprime preoccupazione, ma ribadisce: “Quello algerino e tunisino sono governi che costituiscono un' importante presenza mediterranea anzitutto nella lotta al terrorismo. Noi condanniamo ovunque le violenze ma sosteniamo governi che hanno avuto coraggio”.
Ma i manifestanti prendono presto il sopravvento: il 14 gennaio arriva la notizia della fuga di Ben Ali. Il giorno dopo Frattini assicura: “L’Italia sosterrà come sempre le scelte del popolo tunisino che auspica fortemente vadano sulla strada della democrazia e delle pacifica convivenza”. Il 17 gennaio in un’intervista al Corriere della Sera dice: “L’uscita di Ben Ali ha rallentato le tensioni, è stata una decisione saggia. Adesso il processo deve continuare”. E cita come modello di dialogo con le popolazioni di un Paese arabo, quello realizzato in Libia da Gheddafi con la riforma “dei Congressi provinciali del popolo”.
Il 19 gennaio Frattini dichiara: “Credo che l’Europa potrebbe assumere l’iniziativa” di congelare i beni all’estero di Ben Ali.
EGITTO – Ma intanto il 25 gennaio, con la prima “giornata della collera” si infiamma l’Egitto. Il 26 gennaio Frattini dichiara: “Speriamo che il presidente Mubarak continui, come ha sempre fatto, a governare il suo Paese con saggezza e lungimiranza”, perché il mondo considera l’Egitto come “punto di riferimento per il processo di pace, che non può venire meno”. “La priorità è fermare le violenze ed evitare ulteriori vittime civili. Bisogna fermare anche le azioni che producono danni ai beni culturali del Paese”, dice il 30 gennaio, mentre continuano gli scontri. E rivolge un duplice appello: “Al presidente Mubarak”, cui chiede di realizzare “riforme con la massima rapidità”, affinché “si evitino violenze contro civili disarmati” e “ai manifestanti affinché dimostrino pacificamente”.
Il 31 gennaio il ministro degli Esteri afferma: “L’Europa e la comunità internazionale devono aiutare l’Egitto a trovare una sua strada verso libere elezioni, che si svolgeranno presto, e diranno chi sarà il prescelto dagli egiziani”. La transizione egiziana deve essere “rapida, reale e pacifica”, ribadisce il 2 febbraio. E Mubarak? “Prima serve la riforma elettorale, poi una nuova costituzione, poi andare alle urne” a settembre, spiega Frattini il 6 febbraio: così “la transizione sarebbe rapida ma non sarebbe il caos”, come invece accadrebbe se il presidente Mubarak andasse “via domani”. “Mubarak rimarrà in carica sino alla scadenza del suo mandato e non oltre, non mi pare ci siano più dubbi su questo”, ribadisce l’8 febbraio.
Ma a piazza Tahrir i manifestanti non demordono. E l’11 febbraio il presidente si dimette e lascia il Cairo: “Uno sviluppo importante per il popolo egiziano e le sue legittime aspirazioni democratiche”, commenta Frattini.
LIBIA – E’ l’8 gennaio quando il ministro degli Esteri, di fronte all’esplodere delle proteste nel Nord Africa spiega che gli onori tributati a Roma a Gheddafi l’anno precedente “sono gli onori a un capo di Stato che riesce a controllare una situazione altrimenti esplosiva”. Anche se il 1 febbraio avverte il rais che quanto accaduto prima in Tunisia poi in Egitto, deve “essere una lezione per tutti”.
Quando la rivolta esplode anche a Tripoli e Bengasi, Frattini in un primo momento non rilascia dichiarazioni. Il governo resta in silenzio. Ma il titolare della Farnesina mantiene stretti contatti, secondo quanto riportato dall’ANSA, con i suoi interlocutori libici e il 20 febbraio informa il segretario di Stato Usa Hillary Clinton sui tentativi di mediazione tra istituzioni e opposizioni in Cirenaia. Quanto all’Italia, “sta seguendo molto da vicino tutte le situazioni” del Nord Africa ed è preoccupata “per le ripercussioni” per i nuovi sbarchi da quelle coste, si limita a dichiarare al suo arrivo a Bruxelles, al Consiglio degli esteri della Ue.
Poi il 21 febbraio poche parole rivolte ai suoi colleghi europei, che tanto fanno discutere: “Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia. Dobbiamo aiutare, dobbiamo sostenere la riconciliazione pacifica: questa è la strada”. Scoppiano le polemiche, per quella che viene letta come una dichiarazione troppo accondiscendente verso il rais, mentre si diffondono notizie di bombardamenti sulla folla. Ma Frattini, pur dicendosi contrario alla richiesta di alcuni Paesi di sanzioni alla Libia, precisa che come l’Ue, l’Italia condanna la violenza e la repressione in Libia “senza se e senza ma”.
“Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un’immigrazione verso l’Europa di dimensioni epocali”, sottolinea il 22 febbraio, mentre in una telefonata Gheddafi assicura a Berlusconi che "va tutto bene". Ma le cose precipitano, le notizie si fanno sempre più allarmanti, Gheddafi accusa anche l'Italia di armare i rivoltosi. Ecco allora, il 23 febbraio, la dichiarazione di Frattini: “C'è un limite. Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo non levare la nostra voce”.
Frattini: "Sulla Libia l'Europa non deve interferire"
Libia, Gheddafi: "Non lascio. Morirò da martire"
“C'è un limite. Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo non levare la nostra voce”. E’ il 23 febbraio. Dalla Libia di Muammar Gheddafi arrivano notizie allarmanti di combattimenti e stragi. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini dice basta.
E, nonostante la prudenza dettata dai centinaia di italiani che vivono in Libia, dagli interessi economici del nostro Paese e dal rischio di una islamizzazione della regione,
si unisce a Ue e Onu nel chiedere che cessi immediatamente “l'orribile spargimento di sangue” che “la leadership Gheddafi ha annunciato e sta continuando a fare”.
Una presa di posizione netta, che sembra porre fine a chi ha duramente criticato nelle ultime settimane le ambiguità del governo italiano e del titolare della Farnesina, in particolare. “Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia”, aveva detto Frattini solo tre giorni prima, il 21 febbraio. Parole che avevano scatenato polemiche. Simili a quelle che ancor prima erano piovute addosso al ministro degli Esteri per la linea tenuta di fronte agli scontri in Tunisia ed Egitto, in un difficile equilibrio tra vecchie alleanze e nuove rivolte.
TUNISIA – E’ l’8 gennaio, in Algeria e Tunisia divampa la protesta contro il carovita. Frattini risponde alle accuse rivolte dallo scrittore Tahar Ben Jelloun a Roma e Parigi di essere state troppo deboli nei confronti dei regimi locali: “Sono Paesi che garantiscono stabilità al Maghreb e chi dice cose diverse non ha il minimo senso di responsabilità”, dice il ministro. “L’impegno di Ben Ali contro il terrorismo non può essere sottaciuto”, sottolinea in particolare con riferimento al presidente tunisino.
Il 10 e il 12 gennaio, mentre le radio di Tunisi diffondono le notizie dei morti negli scontri con le forze dell’ordine, il titolare della Farnesina esprime preoccupazione, ma ribadisce: “Quello algerino e tunisino sono governi che costituiscono un' importante presenza mediterranea anzitutto nella lotta al terrorismo. Noi condanniamo ovunque le violenze ma sosteniamo governi che hanno avuto coraggio”.
Ma i manifestanti prendono presto il sopravvento: il 14 gennaio arriva la notizia della fuga di Ben Ali. Il giorno dopo Frattini assicura: “L’Italia sosterrà come sempre le scelte del popolo tunisino che auspica fortemente vadano sulla strada della democrazia e delle pacifica convivenza”. Il 17 gennaio in un’intervista al Corriere della Sera dice: “L’uscita di Ben Ali ha rallentato le tensioni, è stata una decisione saggia. Adesso il processo deve continuare”. E cita come modello di dialogo con le popolazioni di un Paese arabo, quello realizzato in Libia da Gheddafi con la riforma “dei Congressi provinciali del popolo”.
Il 19 gennaio Frattini dichiara: “Credo che l’Europa potrebbe assumere l’iniziativa” di congelare i beni all’estero di Ben Ali.
EGITTO – Ma intanto il 25 gennaio, con la prima “giornata della collera” si infiamma l’Egitto. Il 26 gennaio Frattini dichiara: “Speriamo che il presidente Mubarak continui, come ha sempre fatto, a governare il suo Paese con saggezza e lungimiranza”, perché il mondo considera l’Egitto come “punto di riferimento per il processo di pace, che non può venire meno”. “La priorità è fermare le violenze ed evitare ulteriori vittime civili. Bisogna fermare anche le azioni che producono danni ai beni culturali del Paese”, dice il 30 gennaio, mentre continuano gli scontri. E rivolge un duplice appello: “Al presidente Mubarak”, cui chiede di realizzare “riforme con la massima rapidità”, affinché “si evitino violenze contro civili disarmati” e “ai manifestanti affinché dimostrino pacificamente”.
Il 31 gennaio il ministro degli Esteri afferma: “L’Europa e la comunità internazionale devono aiutare l’Egitto a trovare una sua strada verso libere elezioni, che si svolgeranno presto, e diranno chi sarà il prescelto dagli egiziani”. La transizione egiziana deve essere “rapida, reale e pacifica”, ribadisce il 2 febbraio. E Mubarak? “Prima serve la riforma elettorale, poi una nuova costituzione, poi andare alle urne” a settembre, spiega Frattini il 6 febbraio: così “la transizione sarebbe rapida ma non sarebbe il caos”, come invece accadrebbe se il presidente Mubarak andasse “via domani”. “Mubarak rimarrà in carica sino alla scadenza del suo mandato e non oltre, non mi pare ci siano più dubbi su questo”, ribadisce l’8 febbraio.
Ma a piazza Tahrir i manifestanti non demordono. E l’11 febbraio il presidente si dimette e lascia il Cairo: “Uno sviluppo importante per il popolo egiziano e le sue legittime aspirazioni democratiche”, commenta Frattini.
LIBIA – E’ l’8 gennaio quando il ministro degli Esteri, di fronte all’esplodere delle proteste nel Nord Africa spiega che gli onori tributati a Roma a Gheddafi l’anno precedente “sono gli onori a un capo di Stato che riesce a controllare una situazione altrimenti esplosiva”. Anche se il 1 febbraio avverte il rais che quanto accaduto prima in Tunisia poi in Egitto, deve “essere una lezione per tutti”.
Quando la rivolta esplode anche a Tripoli e Bengasi, Frattini in un primo momento non rilascia dichiarazioni. Il governo resta in silenzio. Ma il titolare della Farnesina mantiene stretti contatti, secondo quanto riportato dall’ANSA, con i suoi interlocutori libici e il 20 febbraio informa il segretario di Stato Usa Hillary Clinton sui tentativi di mediazione tra istituzioni e opposizioni in Cirenaia. Quanto all’Italia, “sta seguendo molto da vicino tutte le situazioni” del Nord Africa ed è preoccupata “per le ripercussioni” per i nuovi sbarchi da quelle coste, si limita a dichiarare al suo arrivo a Bruxelles, al Consiglio degli esteri della Ue.
Poi il 21 febbraio poche parole rivolte ai suoi colleghi europei, che tanto fanno discutere: “Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia. Dobbiamo aiutare, dobbiamo sostenere la riconciliazione pacifica: questa è la strada”. Scoppiano le polemiche, per quella che viene letta come una dichiarazione troppo accondiscendente verso il rais, mentre si diffondono notizie di bombardamenti sulla folla. Ma Frattini, pur dicendosi contrario alla richiesta di alcuni Paesi di sanzioni alla Libia, precisa che come l’Ue, l’Italia condanna la violenza e la repressione in Libia “senza se e senza ma”.
“Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un’immigrazione verso l’Europa di dimensioni epocali”, sottolinea il 22 febbraio, mentre in una telefonata Gheddafi assicura a Berlusconi che "va tutto bene". Ma le cose precipitano, le notizie si fanno sempre più allarmanti, Gheddafi accusa anche l'Italia di armare i rivoltosi. Ecco allora, il 23 febbraio, la dichiarazione di Frattini: “C'è un limite. Di fronte a quello che sta accadendo non possiamo non levare la nostra voce”.