Berlusconi chiede, ma Napolitano non concede

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Un'ora di incontro tra premier e presidente della Repubblica, con il primo che lamenta una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti e il secondo che ribadisce: "Nessuno strappo sulla giustizia"

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Lungo e franco, lo hanno definito i bene informati. Oltre un'ora (un'ora e venti minuti, per la precisione) di faccia a faccia tra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi, con il secondo a ribadire l'esistenza di una vera e propria persecuzione volta a portarlo fuori da Palazzo Chigi ed il primo ad ascoltare, prendere nota, e ribadire quello che aveva fatto già sapere nel pomeriggio. E cioè che, là dove esistono ragioni da far legittimamente valere in occasione di un'inchiesta, di un procedimento, queste si trovano già tutte espresse nella Costituzione e nella legge. Parole che contrastano con l'idea, preannunciata nei giorni scorsi e - a quanto pare - ribadita stasera al Quirinale, di varare una serie di necessari provvedimenti in tema di giustizia. Argomentazioni alle quali Napolitano ha risposto ribademdo il suo pensiero ed il suo stato d'animo, a partire a tutta la sua inquietudine per l'asprezza dello scontro in atto e la pesantezza del clima, finire con la raccomandazione a non cercare sostegno per le proprie tesi nel parlamento o in una parte di esso, ma in un giudice terzo che saprà leggere, ponderare e trovare la risposta più seria e legittima alle legittime obiezioni del caso.

E' stato il secondo colloquio tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio, in poco meno di un mese. Anche questo, come il faccia a faccia del 18 gennaio, di circa un'ora. Coincide persino, per un ghiribizzo dell'agenda, l'orario in cui si è svolto: dalle 17 a seguire. Giorgio Napolitano riceve l'ospite che è stato preceduto dalla sua intervista pubblicata stamane dal "Foglio", in cui ha definito le inchieste in corso roba da Germania Est. Come a gennaio, il Capo dello Stato ha ascoltato, ma poi non ha rinunciato a ribadire il proprio punto di vista. Ribadire, e non enunciare, perché oggi come allora quello che il Quirinale pensi di tutto questo il Cavaliere è salito al Colle già sapendolo, non fosse altro perché Napolitano ha diramato con qualche ora di anticipo un comunicato esplicativo. Ancora a gennaio, a scandalo Ruby appena aperto, aveva fatto sapere di essere "ben consapevole del turbamento dell'opinione pubblica" per la faccenda, e di auspicare che "nelle previste sedi giudiziarie si proceda al più presto ad una compiuta verifica delle risultanze investigative".

Oggi, forse, ha compiuto un passo ancora più esplicito: ha ricevuto il comitato di presidenza del Csm. E, di fronte alla manifestazione di preoccupazione da parte dei giudici di fronte agli ultimi attacchi del premier, ha aggiunto: "nella Costituzione e nella legge possono trovarsi i riferimenti di principio e i canali normativi e procedurali per far valere insieme le ragioni della legalità nel loro necessario rigore e le garanzie del giusto processo. Fuori di questo quadro, ci sono solo le tentazioni di conflitti istituzionali e di strappi mediatici che non possono condurre, per nessuno, a conclusioni di verità e di giustizia". Che sono, testualmente, le stesse parole che ebbe a dire tre giorni dopo il colloquio con Berlusconi di un mese fa. Come a dire: resto esattamente della stessa opinione, non c'è motivo di cambiarla.

Anche perché al Cavaliere era già stato detto che era necessaria, da parte sua, una rapida scelta tra una serie di opzioni aperte all'inizio del caso Ruby. Una, accettare l'interrogatorio chiesto dai giudici, cioè la via maestra; la seconda rifiutare l'interrogatorio mandando loro una memoria difensiva; la terza andare al confronto a Palazzo di giustizia, ma avvalendosi poi del diritto di non rispondere; l'ultima eccepire la competenza del tribunale che, al momento, è titolare dell'inchiesta. Da allora la situazione ha registrato una evoluzione di cui non è possibile non tenere conto, a cominciare dalla richiesta di rito abbreviato avanzata dalla procura di Milano.

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