Berlusconi e la sinistra: lo scontro è sul filo di cachemire

Politica
Fausto Bertinotti insieme con Massimo D'Alema
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"Sono rimasti gli stessi di prima, anche se indossano capi firmati" aveva detto il premier rivolgendosi a D'Alema, che replica: "Il giaccone è vecchio. Questo attacco non è casuale”. Breve storia del tessuto più conteso della Seconda Repubblica. VIDEO

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di Filippo Maria Battaglia


E venne l’ora del cachemire. O meglio, ritornò.
Passano gli anni, cambiano i governi, si alternano i leader. Ma l’accusa resta sempre la stessa: “Comunisti in lana pregiata”. E non cambia neppure il mittente. Lo j’accuse, infatti, parte sempre dal centrodestra.
L’ultimo, in ordine di tempo, proviene dal leader maximo (si fa per dire: Silvio Berlusconi) e recita testualmente: “Sono rimasti gli stessi di prima, con gli stessi pregiudizi e lo stesso modo di fare politica”, anche se “si sono imborghesiti, indossano capi firmati, scarpe fatte su misura, pasteggiano a caviale e champagne".

Un’accusa folcloristica, da derubricare solo a pettegolezzo politico? Macché.
L’imputazione, a quanto pare, deve fare breccia nel centrosinistra e nei suoi più immediati dintorni. Difficile, altrimenti, capire come mai a una manciata di giorni dalla frase del premier, un altro ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, decida di replicare (pare, senza alcuna ironia): “La sciarpa che indossavo non era di cachemire, posso fargliela vedere – risponde puntuto in un’intervista finita sulla prima pagina del Riformista - Il giaccone è un vecchio giaccone. Le scarpe le ho comprate da Decathlon, pagandole ventinove euro, posso testimoniarlo le tante persone che hanno fatto la fila con me”. E aggiunge: "Questo attacco non è casuale. E' il segnale che Berluconi pensa alle elezioni".

Non è la prima volta che la gauche italiana finisce "appesa" per le sue abitudini vestiarie.
L’inizio del lungo tormentone si perde nell’alba della Seconda Repubblica. Difficile datarlo, certo è che all’inizio del nuovo millennio, la tradizione è già solida e coincide con un nome: Fausto Bertinotti.
È lui l’antesignano, e insieme il primo bersaglio delle accuse. “Comunista in cachemire”, gli gridano a ruota i deputati del Pdl, alludendo un po’ sornionamente anche alle abitudini (sembra, sembra) festaiole dell’ex presidente della Camera. Tanto che l’addebito finisce persino per valicare le Alpi.

È il 2006: Bertinotti si presenta quale candidato premier della Sinistra Arcobaleno.
Dopo una fitta serie di domande, Alison Dickens, della redazione inglese di Aki, si alza, prende il microfono e inizia a parlare.
E arriva, puntuale, la domanda (“light”, puntualizza la cronista): “Perché le rimproverano la sua predilezione per le giacche di cachemire e le frequentazioni di certi salotti buoni?”.
Bertinotti non si schernisce; al contrario, risponde prontamente: “Vuol provare a venire a vedere?”.
La giornalista allora si arrende. Si avvicina e constata: “E’ lana”. Poi, l'allora presidente della Camera racconta la storia di un mercato e di un maglione “comprato all’usato”.
Quanto alle frequentazioni di certi salotti (immortalate tra l’altro anche da Umberto Pizzi nel libro fotografico “Cafonal” firmato Dagospia), Bertinotti non ci sta.
E, serafico, risponde: “Io so che il sogno dei borghesi è avere dei comunisti che sbagliano il congiuntivo, che sono sporchi, che vestono malissimo, che sono maleducati, per dire che i comunisti sono così. Mi dispiace: io penso che possano essere pure eleganti”.

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