Elezioni in autunno? Sarebbero le prime, ma è possibile

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Nell'ultimo vertice ad Arcore si è ipotizzata come data per le urne il 27 e 28 novembre. I tempi tecnici ci sono. Ma a patto che Napolitano sciolga le Camere entro il 13 ottobre

di Serenella Mattera

Esiste “la possibilità tecnica di andare alle urne prima di Natale”. Parola di Umberto Bossi. Il leader della Lega lo è andato ripetendo nei comizi ferragostani e lo ha ribadito al termine della cena ad Arcore con Silvio Berlusconi del dopo-Mirabello. Il duro discorso di Gianfranco Fini non è piaciuto affatto agli alleati di governo e fa perciò rientrare nel novero delle ipotesi plausibili che i 60 milioni di italiani debbano presto tornare a votare. Ci sarebbe già una data: sabato 27 e domenica 28 novembre. Possibile?

Sì, possibile. I tempi tecnici, infatti, ci sono. La Costituzione (articolo 61) stabilisce che le nuove elezioni si devono tenere non oltre 70 giorni dal momento in cui si sciolgono le Camere. Ma un successivo decreto (d.p.R. 361/1957, articolo 11) aggiunge che dallo scioglimento al voto non possono passare meno di 45 giorni. Il che vuol dire che per realizzarsi l’ipotesi dell’apertura delle urne il 27 novembre, il decreto che convoca i comizi elettorali dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri, firmato dal presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale al massimo il 13 ottobre, cioè un mese e mezzo prima della data scelta.

A partire da quel momento, le tappe sono ben indicate dalla legge: nei Comuni viene affisso il manifesto di convocazione dei comizi, poi c’è il deposito al Viminale (tra il 44esimo e il 42esimo giorno antecedente a quello del voto) dei simboli dei partiti, con indicazione dell’eventuale collegamento in coalizioni e del programma elettorale, nel quale si dichiara il nome e il cognome della persona a capo della forza politica (candidato premier in pectore). Una settimana dopo vengono presentate le candidature (i partiti fuori dal Parlamento devono raccogliere le firme, ma lo scioglimento anticipato delle Camere li agevola, perché servono la metà di quelle normalmente necessarie). E trenta giorni prima del voto inizia la campagna elettorale vera e propria, con comizi e affissioni.

Se in teoria è dunque possibile che si vada a votare già a novembre, o comunque prima di Natale, nella pratica però, ammette lo stesso Bossi, “è un po’ più complesso” convocare le urne in autunno. E non tanto perché sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica che non si vota in primavera (lo sconsiglia tra l'altro il fatto che entro il 31 dicembre deve essere approvata la legge finanziaria). Ma piuttosto perché il procedimento elettorale che si apre con lo scioglimento delle Camere, ha come premessa essenziale che il Parlamento venga effettivamente sciolto dal presidente della Repubblica. E quindi non solo ai 45 giorni “tecnici” vanno sommati i tempi della politica (Berlusconi non si mostra ancora del tutto convinto dell’idea di elezioni anticipate), ma anche i giorni che passeranno dal momento delle dimissioni del governo o della sua sfiducia il Parlamento, a quello in cui Giorgio Napolitano deciderà di sciogliere le Camere.

Il capo dello Stato deve infatti prima verificare che non esista in Parlamento una maggioranza capace di esprimere un governo diverso. Lo ha fatto anche nel 2008, quando dopo la caduta del governo Prodi ha dato a Franco Marini un incarico “finalizzato” alla formazione di un esecutivo che portasse a termine la riforma elettorale da più parti auspicata. Il tentativo allora è fallito in soli sette giorni e Napolitano non ha potuto fare altro che decretare lo scioglimento. A due anni di distanza il copione potrebbe ripetersi, dal momento che si è tornati a parlare di un governo di transizione per cambiare il cosiddetto Porcellum. Ma la trama è ancora tutta da scrivere.

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