Referendum acqua: una marea di firme. Si punta al milione
PoliticaIl 20 luglio saranno presentati in Cassazione i tre quesiti affinché la gestione delle reti idriche torni in mano pubblica. Il comitato ha già in tasca le sottoscrizioni necessarie. Mentre a sostegno dell’iniziativa scendono in campo anche gli artisti
di Serenella Mattera
Una fontanella pubblica, di quelle che da decenni popolano i marciapiedi e i parchi d’Italia, prende le sembianze di una pompa di benzina, dispensatrice di oro blu a caro prezzo. E “l’acqua del sindaco” si avvia verso l’estinzione, trasformata in “business per pochi”, fonte di “profitti” e non più “bene comune”. I manifesti che dal 24 aprile addobbano decine di banchetti allestiti dal Forum dei movimenti per l'acqua, riassumono in un’immagine quella che è insieme una denuncia e un allarme: il mercato sta mettendo le sue mani su un diritto universale. L’arma per contrastare questa tendenza e restituire l’acqua alla collettività? Cinquecentomila firme, per chiedere con un referendum l’abrogazione delle ultime leggi “che impongono la privatizzazione”. Ebbene, manca più di un mese al 20 luglio, termine per la presentazione delle sottoscrizioni in Cassazione, e già quell’arma è carica: il contatore in continuo aggiornamento segna 881.947 firme. Quasi quattrocentomila oltre la meta prescritta dalla legge. A un passo dal nuovo obiettivo simbolico: un milione.
“Non ci aspettavamo un consenso così largo, ma è dal 2006 che portiamo avanti la nostra battaglia per l’acqua pubblica. Con una gran quantità di manifestazioni, ma soprattutto con una legge d’iniziativa popolare per la quale nel 2007 abbiamo raccolto 406 mila firme, quando ne sarebbero bastate 50 mila: un vero plebiscito. Tre anni dopo, a che punto siamo? La nostra proposta giace in commissione Ambiente alla Camera. Dimenticata. Mentre il governo Berlusconi ha approvato una nuova legge, il cosiddetto decreto Ronchi, che va nella direzione di una sempre maggiore privatizzazione”. Chi parla è Paolo Carsetti, segretario del comitato promotore del referendum, che ha alla base il Forum dei movimenti per l’acqua e riunisce in nome di una stessa causa decine di associazioni di diverso genere (dall’Arci, alle Acli, ai Cobas, solo per fare qualche esempio). Con il sostegno di alcuni partiti (tra di essi Sinistra e libertà, Federazione della sinistra e Verdi), ma anche di qualche Comune (da Corbetta, nel milanese, a Uggiano La Chiesa, nel leccese).
Striscioni con gli slogan “Senza se e senza Spa” e “Si scrive acqua, ma si legge democrazia”, hanno salutato dalla cima dello Zoncolan il passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia. Ai banchetti si sono visti sindaci di grandi città e attori, ma anche centurioni e centenari. Artisti di ogni genere si preparano a scendere nelle piazze, dal 12 al 20 giugno, con performance, concerti e monologhi, per dire: “H2Ora!”. E’ vasto e variegato, insomma, il fronte di chi si batte per promuovere i tre quesiti referendari che puntano alla “pubblicizzazione dell’acqua”. Il che vuol dire abrogare le norme che prevedono un intervento dei privati nella gestione del servizio. Alcune di queste risalgono al governo Prodi, ma il provvedimento che ha messo in moto la macchina referendaria è il decreto che porta la firma del ministro Andrea Ronchi (approvato in Parlamento a novembre del 2009) e che prevede dal 2011 l’affidamento con gara dei servizi idrici locali a privati o a società miste pubblico-privato. Una legge “vergognosa”, si legge sul profilo Facebook del comitato promotore, anche se il ministro rispedisce al mittente l'accusa di voler privatizzare l'oro blu.
“Già oggi – sostiene Carsetti – l’acqua del sindaco non esiste più. Perché il 99% dei gestori sono spa (circa una metà interamente pubbliche, l’altra metà a capitale anche privato), che per loro natura devono produrre profitti e utili. Ma è proprio qui il problema: se l’acqua è un bene comune e un diritto universale, non può essere fonte di profitto”. E allora: “L’acqua non si vende! - gridano i referendari - Fuori l’acqua dal mercato”.
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“Non ci aspettavamo un consenso così largo, ma è dal 2006 che portiamo avanti la nostra battaglia per l’acqua pubblica. Con una gran quantità di manifestazioni, ma soprattutto con una legge d’iniziativa popolare per la quale nel 2007 abbiamo raccolto 406 mila firme, quando ne sarebbero bastate 50 mila: un vero plebiscito. Tre anni dopo, a che punto siamo? La nostra proposta giace in commissione Ambiente alla Camera. Dimenticata. Mentre il governo Berlusconi ha approvato una nuova legge, il cosiddetto decreto Ronchi, che va nella direzione di una sempre maggiore privatizzazione”. Chi parla è Paolo Carsetti, segretario del comitato promotore del referendum, che ha alla base il Forum dei movimenti per l’acqua e riunisce in nome di una stessa causa decine di associazioni di diverso genere (dall’Arci, alle Acli, ai Cobas, solo per fare qualche esempio). Con il sostegno di alcuni partiti (tra di essi Sinistra e libertà, Federazione della sinistra e Verdi), ma anche di qualche Comune (da Corbetta, nel milanese, a Uggiano La Chiesa, nel leccese).
Striscioni con gli slogan “Senza se e senza Spa” e “Si scrive acqua, ma si legge democrazia”, hanno salutato dalla cima dello Zoncolan il passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia. Ai banchetti si sono visti sindaci di grandi città e attori, ma anche centurioni e centenari. Artisti di ogni genere si preparano a scendere nelle piazze, dal 12 al 20 giugno, con performance, concerti e monologhi, per dire: “H2Ora!”. E’ vasto e variegato, insomma, il fronte di chi si batte per promuovere i tre quesiti referendari che puntano alla “pubblicizzazione dell’acqua”. Il che vuol dire abrogare le norme che prevedono un intervento dei privati nella gestione del servizio. Alcune di queste risalgono al governo Prodi, ma il provvedimento che ha messo in moto la macchina referendaria è il decreto che porta la firma del ministro Andrea Ronchi (approvato in Parlamento a novembre del 2009) e che prevede dal 2011 l’affidamento con gara dei servizi idrici locali a privati o a società miste pubblico-privato. Una legge “vergognosa”, si legge sul profilo Facebook del comitato promotore, anche se il ministro rispedisce al mittente l'accusa di voler privatizzare l'oro blu.
“Già oggi – sostiene Carsetti – l’acqua del sindaco non esiste più. Perché il 99% dei gestori sono spa (circa una metà interamente pubbliche, l’altra metà a capitale anche privato), che per loro natura devono produrre profitti e utili. Ma è proprio qui il problema: se l’acqua è un bene comune e un diritto universale, non può essere fonte di profitto”. E allora: “L’acqua non si vende! - gridano i referendari - Fuori l’acqua dal mercato”.
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