Il suicidio della neobrigatista ha riproposto una riflessione sulle strutture penitenziarie italiane. Secondo il guardasigilli la donna si trovava in una situazione carceraria compatibile con il suo stato. Di parere contrario i Radicali
La misteriosa morte di Stefano Cucchi, arrestato per il possesso di stupefacenti e deceduto in carcere, e, quindi, il suicidio della neobrigatista Diana Blefari, accusata di concorso in omicidio del giuslavorista Marco Biagi, hanno fatto riesplondere la querelle della situazione carceraria italianna. A puntare nuovamente il dito è stata, in primo luogo, l'associazione Ristretto Orizzonti, che ha denunciato la morte di ben 146 detenuti dall'inizio dell'anno. Sullo specifico caso Blefari il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha sostenuto che la neobrigatista fosse in una situazione carceraria compatibile con le sue condizioni psicofisiche. Gli ha fatto eco Filippo Berselli del Pdl, il quale ha dichiarato che, in ogni caso, non si può generalizzare da un caso singolo. Durissimo, al contrario, il commento di Marco Pannella: "Questo suicidio è il risultato di un sistema di giustizia e carcerario che induce gesti estremi". Per Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi, le perizie, cui è stata sottoposta Diana Blefari, avrebbero dovuto imporre il suo ricovero in una struttura psichiatrica protetta.