Udienza Open Arms, Salvini: "Non ho messo a rischio salute di nessuno"

Sicilia

Tra le deposizioni anche quella di Alessandro Di Benedetto, psicologo di Emergency che il 13 agosto del 2019 salì a bordo della nave Open Arms per la prima assistenza psicologica: "La situazione era fuori controllo"

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Nuova udienza nell'aula bunker dell'Ucciardone, a Palermo, del processo Open Arms, in cui Matteo Salvini è imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per avere impedito, quando era ministro dell'Interno, lo sbarco dei migranti soccorsi dall'imbarcazione dell'ong spagnola ad agosto 2019.

"Conto di poter dimostrare che ho semplicemente fatto quello che era mio diritto fare senza mettere a rischio la salute di nessuno: una nave spagnola che non vuole andare in altri Paesi non si capisce perché deve arrivare in Italia. Se tutte le navi del mondo decidono di andare a Lampedusa è un problema", ha affermato Salvini in collegamento a Telelombardia prima di entrare nell'aula bunker. "Ho sentito il sindaco di Lampedusa - aggiunge - l'isola ha un tetto per i migranti di 300 e ne ha invece 1500, immaginate per il turismo. Ieri sono sbarcati più di 1000 clandestini".

Le testimonianze

Tra le deposizioni anche quella di Alessandro Di Benedetto, psicologo di Emergency che il 13 agosto del 2019 salì a bordo della nave Open Arms per la prima assistenza psicologica. Di Benedetto il 17 agosto firmò la relazione sullo stato psicologico dei minori a bordo che poi ne determinò l'approdo a terra. "Molti migranti - racconta - presentavano disturbi da stress post traumatico che si traducevano in sintomi fisici e psicologici. Avevano dolori, accessi di rabbia, atteggiamenti catatonici e di ottundimento. C'erano donne abusate, alcune incinte e si trattava di gravidanze frutto di violenze. Era una situazione border line, dove storie individuali dolorosissime venivano amplificate dalla situazione ambientale: c'erano promiscuità - le donne e gli uomini erano separati solo da un lenzuolo,- ambienti stretti, i profughi appartenevano a nazionalità diverse, c'erano anche dei libici. Si trattava di una situazione che rischiava di esplodere dove la stanchezza, lo stillicidio di giorni passati a terra sul ponte, i traumi subiti, le condizioni del mare erano micce. Da situazione altamente critica, negli ultimi giorni eravamo arrivati al punto di non ritorno. C'erano stati tentativi di suicidio, liti, non c'era più nulla da fare, la percezione era questa".

"La situazione era fuori controllo"

"Alcuni migranti - prosegue lo psicologo di Emergency - avevano ragioni per chiedere la protezione umanitaria perché avevano subito torture e persecuzioni. Altri avevano tentato il suicidio, mi hanno detto chiaramente 'meglio morire che tornare in Libia'", ha detto, raccontando di aver rivisto, poi, a sbarco avvenuto, uno dei profughi che aveva provato a suicidarsi. "Non parlava più ed era stato preso in carico dall'Asp. Solo con i farmaci e col supporto psicologico ha ripreso a parlare", ha detto. Il teste ha spiegato che molti migranti erano in uno stato di dissociazione "cosa che avviene - ha detto - quando c'è un trauma che supera la capacità di farsi carico di un evento così grande. A quel punto le persone vanno in amnesie, in mutismo, hanno posizioni catatoniche, soprattutto le donne abusate". "Alcuni mostravano colpa e vergogna, soprattutto i torturati e gli abusati che si sentivano responsabili di quanto gli era accaduto", ha raccontato. Il teste ha spiegato, inoltre, che non era possibile fare colloqui individuali a bordo e che sulla nave c'era una rabbia diffusa determinata dal senso di delusione per il divieto di sbarco. L'equipaggio a un certo punto da salvatore sarebbe stato percepito come persecutore. "Nessuno ci ha aggrediti, ma urlavano, facevano lo sciopero della fame. Non si spiegavano perchè non li facessero scendere a terra e quindi provavano ansia e rabbia", ha spiegato. "Quando arrivò l'indicazione del porto sicuro in Spagna eravamo già al punto di non ritorno. Avrebbero dovuto fare altri tre giorni di viaggio e non oso pensare cosa sarebbe successo se la nave fosse ripartita", ha concluso.

Teste: "Gino Strada chiamò Salvini e Mattarella"

"So che Gino Strada aveva tentato di chiamare il presidente Mattarella ma aveva saputo che era in volo per la Sicilia e gli era stato detto che lo avrebbe richiamato. Strada disse anche che aveva cercato di chiamare Salvini. Chi gli aveva risposto gli aveva detto 'ora glielo passo', poi la linea era caduta, lui aveva provato a richiamare ma non c'era riuscito". Lo ha raccontato Alessandro Di Benedetto riferendo dunque di un interessamento alla vicenda del fondatore di Emergency.

La replica dell'avvocato Giulia Bongiorno, legale di Salvini

Secondo la tesi dell'avvocato Giulia Bongiorno, legale dell'ex ministro Matteo Salvini, i migranti per cui venne chiesta l'evacuazione per motivi psicologici non furono fatti sbarcare perché mancavano report individuali sulle loro condizioni e perché dalla Open Arms furono inviate solo relazioni generiche sullo stato mentale dei profughi. Bongiorno ha controesaminato lo psicologo di Emergency Alessandro Di Benedetto che, per diversi giorni, fece osservazioni sulle condizioni dei migranti a bordo. "La mia osservazione è stata gruppale. - ha detto il teste - Lo psicologo può fare colloqui individuali o usare l'osservazione gruppale, cioè vedere come si rapportano le persone, come si comportano. Ho fatto una osservazione partecipata dell'intero gruppo. Quindi può essere che non so dirle la sintomatologia del singolo, perché l'osservazione era generale e tutti manifestavano rabbia, sintomi da stress etc, i sintomi erano comuni". Quando la legale ha fatto notare al teste che a fronte di relazioni individuali l'evacuazione era stata concessa e gli ha chiesto perchè non avesse proceduto a motivare per ciascun profugo la richiesta di sbarco il teste ha risposto: "la situazione era ingestibile, i migranti erano chiusi anche con me, non parlavano, quindi i report individuali non si potevano più fare. La richiesta che ci veniva fatta era di fare colloqui individuali, ma era impossibile tanto che risposi 'vi faccio copia e incolla perché la sintomatologia è uguale per tutti' ma mi dissero di no".

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