Sparatoria allo Zen, parla una testimone: altri quattro fermati

Sicilia
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A squarciare il muro di omertà è stata una donna che ha permesso di mettere fine alla guerra che si era scatenata tra i due clan familiari

A Palermo la polizia ha eseguito altri quattro fermi nell'ambito delle indagini sulla sparatoria di martedì scorso con tre feriti allo Zen, dove un commando ha esploso diversi colpi d'arma da fuoco contro Giuseppe Colombo e i figli Antonino e Fabrizio. Per i quattro c'è, infatti, l'aggravante del metodo mafioso. Gli investigatori hanno fatto luce su una vera e propria faida fra i Colombo e Maranzano. A squarciare il muro di omertà è stata una donna che ha permesso di mettere fine alla guerra che si era scatenata tra i due clan familiari. 

La vicenda

Dopo l'arresto di Giuseppe Cusimano, ritenuto il nuovo boss del quartiere, la convivenza tra i due gruppi sarebbe diventata insostenibile. Fino all'epilogo che non si è trasformato in una strage solo per alcune coincidenze. Mentre i Maranzano preparavano il raid contro i Colombo, la donna ha chiamato il 112 e ha raccontato che i Maranzano stavano preparando un agguato implorando le forze dell'ordine di intervenire. "Vi prego, stanno per succedere cose gravissime allo Zen". A sparare sarebbero stati Litterio Maranzano e suo fratello Pietro, che la scorsa settimana sono stati fermati dagli investigatori della squadra mobile diretti da Rodolfo Ruperti. La "donna coraggio dello Zen", una familiare dei Colombo, adesso è sotto protezione dello Stato. Ha fatto i nomi dei responsabili del tentato omicidio e ha spiegato anche il movente del raid, scattato dopo una lite.

Le dichiarazioni del capo della squadra mobile di Palermo

"Siamo di fronte a una vera e propria operazione antimafia perché andiamo a beccare quel sottobosco, che attraverso varie effervescenze, alimenta le famiglie dello Zen. I Maranzano sono noti. Loro speravano in una completa omertà da parte delle vittime che, in effetti, abbiamo all'inizio registrato. Ma c'è anche la testimonianza di una donna coraggiosa che ci ha fornito indicazioni preziose". Lo ha detto il capo della squadra mobile di Palermo, Rodolfo Ruperti. A fornire dettagli "preziosi" agli investigatori - coordinati anche sul campo dai magistrati della Dda di Palermo - è stata una donna, la moglie di Giuseppe Colombo che, con coraggio, ha spezzato la catena di omertà e ora è sottoposta a una forma di tutela. Ma le prime dichiarazioni sono arricchite da un'altra testimonianza che ci ha consentito di eseguire il fermo emesso dalla Procura". Il capo della Mobile ha ricostruito la sparatoria di martedì scorso. I Colombo si trovano in un bar dello Zen quando arrivano Pietro e Letterio Maranzano e altri tra cui Nicolò Cefali. Mentre i Colombo vanno via uno di loro da una pacca a Cefali. "Ed è questo gesto apparentemente innocuo alimenta la tensione nel bar, immortalata dalle videocamere". Subito dopo i fatti si sviluppano allo Zen 2. Un primo contatto tra i colombo e Nicolò Cefali che piomba sui due li aggredisce e poi si allontana. Seguono vari tentativi di accordo ma le condizioni per i Colombo sono inaccettabili perché, di fatto, i Maranzano pretendono o "una lezione severa" per i Colombo oppure che gli stessi lascino lo Zen. Giuseppe Colombo non ha il tempo di avvertire i figli. "Ritornato in via Patti per incontrare i figli non ha il tempo di allertarli che sul posto giungono numerose macchine e moto e poco dopo inizia la pioggia di fuoco. A sparare numerose persone e almeno tre pistole in base ai bossoli e alle ogive rinvenute. Ma le armi potevano essere anche di più. Purtroppo le armi allo Zen ci sono".

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