Trapani, sequestrati beni a tre imprenditori palermitani vicini a boss mafiosi

Sicilia
Foto di archivio

Per i tre è stata proposta, inoltre, la misura della sorveglianza speciale pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno. Sono stati posti sotto sequestro anche vari conti correnti

Sequestrati beni a tre imprenditori di San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, per un valore di mercato di circa un milione e mezzo di euro. La Dia di Trapani ha eseguito il sequestro nei confronti di Ciro Gino Ficarotta, 67 anni, coinvolto negli anni '90 in vicende giudiziarie per i suoi rapporti con i boss mafiosi Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio, del figlio Leonardo Ficarotta, 38 anni, e del nipote Paolo Virrito, 40 anni. Colpito l'intero compendio aziendale della società agricola semplice Vieffe, proprietaria della tenuta agricola di oltre sessanta ettari di Santa Ninfa. Per i tre è stata proposta, inoltre, la misura della sorveglianza speciale pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno. Sono stati posti sotto sequestro anche vari conti correnti. Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale di Trapani, sezione misure di Prevenzione, su proposta del direttore della Dia. 

Le indagini

I tre, i quali avevano interessi economici nel trapanese, sono stati coinvolti in una indagine dei carabinieri sulle infiltrazioni della mafia negli investimenti immobiliari sui terreni agricoli offerti all'asta nell'ambito di procedure esecutive. Nell'ambito dell'inchiesta i tre sono stati arrestati ed è stato accertato che l'azienda agricola degli esattori mafiosi di Salemi, Nino e Ignazio Salvo, quest'ultimo assassinato da Cosa nostra nel 1992, era stata formalmente acquistata all'asta da Roberto Nicastri, ritenuto prestanome del fratello Vito Nicastri, imprenditore del settore eolico accusato di aver finanziato la latitanza del boss Matteo Messina Denaro.
L'azienda era stata poi ceduta alla Vieffe dei Ficarotta e Vivirito, per 530.000 euro. Il prezzo di vendita reale dei terreni era, però, notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata versata da Ficarotta in contanti nelle mani dagli uomini di Cosa nostra, per la loro attività di "intermediazione immobiliare". Secondo le dichiarazioni del pentito Lorenzi Cimarosa, parte di tale somma sarebbe stata destinata al mantenimento del latitante di Castelvetrano che l'avrebbe ricevuta attraverso il nipote Francesco Guttadauro.

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