La difesa comune europea e la grande occasione persa

Eppure era una buona occasione. Un po’ come quella sfruttata al tempo del Covid, quel tempo che molti hanno presto definito come molto simile a una guerra. Allora l’Europa ebbe un sussulto. Si sentì unita. Terra di strade deserte, morti in desolato isolamento, file di bare che uscivano dai nosocomi. Riuscì a intraprendere la strada che mai prima era riuscita a percorrere, per quanto evocata da molti e da molto tempo, quella del debito comune. Costava meno e serviva a tutti a rialzarsi prima. L’occasione di un ulteriore salto di qualità si presentava in questi giorni di tre anni fa. Cresciuta con l’invasione dell’Ucraina, la sensibilità sulla fragilità militare dell’Unione e i timori sulla sicurezza di ognuno e di tutti i Paesi membri facevano pensare che fosse la volta buona. Un’altra guerra, un'altra occasione. Ancora, debito comune perché - sempre costa meno. E un esercito comune, una difesa comune, un’industria degli armamenti europea, con linee guida strategiche decise a livello continentale. Voleva dire – vorrebbe dire – la consapevolezza di un destino comune. Di un destino di rilevanza geopolitica, e non solo di un vasto mercato da 500 milioni di consumatori. Perché da quando Putin ha mostrato che le guerre economiche possono non bastare e che è tornata la fame di territorio, di spazio vitale, devono potersi difendere terre e confini. E accanto a questa consapevolezza, unica anche se magra contropartita all’orrore di una guerra alle nostre porte, anche il vantaggio di un risparmio importante sul bilancio di ogni singolo Stato membro, risparmio che si poteva impiegare per migliorare le vite dei cittadini europei e, così facendo, alimentare un senso di appartenenza negli ultimi tempi molto appassito. Ecco, la buona occasione non sarà colta. I Paesi membri – compresa l’Italia, pare dalle ultime indiscrezioni – sono pronti ad approfittare ognuno per proprio conto dello scorporo, ormai certo delle spese militari dai deficit. Lo sforamento non sarà calcolato ai fini del patto di stabilità. Per 4 anni, pare. Poi bisognerà comunque rientrare. E, comunque, ogni Paese si indebiterà ai suoi tassi di mercato. Arrivare al 2.5% sul Pil e rispettare almeno in parte gli impegni con l’Alleanza atlantica all’Italia costerà più di quasi tutti gli altri partner europei. Soldi sottratti ad altro utilizzo, perché l’Europa non c’è. Il barlume di unità rispetto a un destino comune intravisto al tempo del Covid si è spento e non torna nemmeno di fronte alla prospettiva di un’altra guerra. Non solo. Di transizione energetica e tecnologica non si parla più. La lotta al cambiamento climatico è ormai motivo di emarginazione per chi prova a farla o solo a proporla come argomento. Tutto questo è in gran parte conseguenza della guerra in Ucraina. L’unico potenziale effetto positivo - prepararsi a una difesa comune - non abbiamo saputo coglierlo. Viene da pensare che Putin lo avesse previsto, anche questo.

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