IL LIBRO DELLA SETTIMANA Nel 1922 il giornalista e scrittore austriaco Hugo Bettauer immagina la cacciata degli ebrei dall'Austria, anticipando lo sterminio e l'ondata di violenze e discriminazioni che sarebbero avvenuti un decennio dopo
Vienna, inizio anni Venti. Il parlamento promulga un editto per cacciare gli ebrei dall’Austria. Vengono espulsi tutti, con due sole eccezioni: i nipoti di matrimoni misti e quelli che, “sulla base di certificati medico-legali”, non sono “assolutamente trasportabili” e che possono perciò aspettare a Vienna “la guarigione o la morte”. Per gli invalidi e i malati, invece, il governo mette a disposizione “splendidi treni-ospedale”.
Quando il giornalista e scrittore Hugo Bettauer immagina questa storia è il 1922: ha in mente di pubblicare un romanzo distopico per denunciare il crescente antisemitismo che si respira nella capitale, e infatti dopo averlo titolato “La città senza ebrei” aggiunge un sottotitolo significativo: “Un romanzo di dopodomani”. Non può immaginare certo che quello che accadrà di lì a qualche anno renderà questo scenario fatalmente realistico. Eppure, più che un effetto sinistramente profetico, il romanzo che Chiarelettere ha deciso di portare in libreria per le cure di Marino Freschi (trad. M. De Pasquale, pp. 128, euro 14) finisce paradossalmente con l'avere soprattutto un incredibile valore documentaristico.
La cacciata degli ebrei
La trama è semplice e lineare: dopo aver emanato l’editto per scacciare gli ebrei, Vienna si trasforma in una città povera e grigia. Banche, caffè e teatri entrano in crisi, le ragazze rimpiangono i loro audaci corteggiatori, le commesse dei negozi di moda sbadigliano furtive, il cielo si fa più cupo e tetro. Così, a poco a poco, dopo essere stati allontanati, gli ebrei prima vengono ricordati con nostalgia, poi vengono rimpianti con calcolo interessato e infine sono richiamati a furor di popolo.
Le discriminazioni nella Vienna degli anni Venti
Fin qui la trama. Ma l'importanza di questo romanzo non sta tanto in questo e nemmeno in uno stile in punta di penna vivace e incredibilmente attuale. Risiede piuttosto nella capacità di intercettare e raccontare in anticipo - sebbene in una chiave (almeno a quel tempo) paradossale - i brutti venti che spirano anche nel cuore della Mitteleuropa. Come racconta Freschi nella sua introduzione, alla fine del secolo gli ebrei viennesi erano già oltre centomila; all’inizio degli anni Venti se ne contavano più di duecentomila (più del 10% della popolazione). Non solo. Già nella seconda metà dell’Ottocento più della metà dei medici era ebreo “e alla fine del secolo la stragrande maggioranza degli studi legali era diretta da israeliti, la cui importanza era preponderante nel commercio, nella finanza, nell’industria, nelle libere professioni, come pure nel giornalismo, nel mondo del teatro e della moda”.
Le prime proposte di campi di concentramento
Un’ascesa e una crescita che avviene al prezzo di crescenti discriminazioni. Freschi ricorda come “in qualificati ambienti cristianosociali” un autorevole dirigente dei lavoratori di nome Leopold Kunschak (1871-1953), nel 1919 ventila “l’ipotesi di un’anagrafe ebraica con la prospettiva di un allontanamento immediato di tutti gli ebrei immigrati dopo l’agosto del 1914”. Non solo. L’anno dopo, lo stesso Kunschak, stavolta all’Assemblea costituente, tiene un lungo discorso sulla questione giudaica in Austria, in cui chiede che “gli ebrei – nella misura in cui non possano essere espulsi e non se ne vadano volontariamente – siano immediatamente internati in campi di concentramento”.
La morte e il processo
Ce ne è abbastanza perché il romanzo di Bettauer non sia derubricato a una semplice intuizione di sinistra preveggenza ma possa essere letta anche come una sorta di spia rivelatrice di un dramma incombente. A rendere ancora più drammatica questa storia, però, c'è anche altro: l'epilogo biografico del suo autore. Tre anni dopo l’uscita di questo romanzo (che in poco tempo supera le 250mila copie e che arriverà anche al cinema con una discussa trasposizione), Bettauer viene assassinato nella redazione della sua rivista da un giovane nazista di nome Otto Rothstock. Il processo si trasformerà in un pretesto per la propaganda antisemita e l’assassinio resterà sostanzialmente impunito. “La città senza ebrei” racconta indirettamente anche questa storia. Ed è una storia che - a distanza di decenni e nonostante la mole bibliografica su questo tema - aggiunge ancora oggi dettagli inediti, incredibili e stranianti.