Chi era Pio IX, l’ultimo Papa che volle essere re
MondoLIBRO DELLA SETTIMANA Il pontificato di Giovanni Maria Mastai Ferretti attraversa i grandi eventi dell’’800. Ed è un affresco ricco di rivolte, tradimenti, atti di viltà ed eroismo in cui si incrociano uomini come Toqueville e Garibaldi. Un saggio ne rievoca la storia
Quando il 16 giugno 1846 viene eletto papa, Giovanni Maria Mastai Ferretti ha da poco compiuto 54 anni. Non ha né il curriculum né il profilo ideale per il soglio di Pietro. Nato in una famiglia della piccola nobilità di Senigallia, è un uomo di chiesa onesto ma debole – almeno così lo descrivono molti suoi contemporanei – ed è estraneo alla curia romana. Anche per questo, nel conclave che si svolge nella primavera del ’46, i cardinali più conservatori decidono di puntare su di lui. Al quarto scrutinio, quando raggiunge i due terzi dei voti, Mastai si avvicina all’altare e, pallidissimo, cade in ginocchio prima di accettare l’elezione. Si chiamerà Pio IX. La sua vita è ora al centro di un saggio firmato dal premio Pulitzer David I. Kertzer e da poco pubblicato in Italia da Garzanti (“Il Papa che voleva essere re”, trad. P. Lucca, p. 558, euro 25).
Roma? “Governata da un popolo di incompetenti”
Lo sconforto di Pio IX in quella giornata di fine primavera non è immotivato. Come scrive Kertzer, “per secoli la morte di un papa era stata seguita non soltanto da tutta una serie di frenetiche manovre da parte delle élite per esercitare la propria influenza, ma anche da disordini popolari, spesso violenti”. Nel ’46 la situazione non è migliore. Secondo i dispacci diplomatici più accreditati, Roma è una città sull’orlo della bancarotta, lo Stato pontificio è “governato da un popolo di incompetenti”, l’“esercito allo sbando”. Una situazione talmente preoccupante da spingere il “Times” di Londra a scrivere che il successore di Gregorio XVI non sarebbe rimasto più di sei mesi sul trono senza l’appoggio dell’esercito austriaco. Non solo. Pio IX non conosce Roma, non vi ha mai vissuto. Per il popolo romano è un carneade, e infatti da carneade viene accolto: durante la cerimonia di incoronazione, la folla radunata all’interno della basilica lo saluta “con assoluta freddezza, senza dare – nota l’inviato del Granducato di Toscana - né con la voce né colle mani il più piccolo segno di allegrezza”.
L’amnistia e il rientro degli esuli
Su indicazione dei consiglieri laici, Mastai decide così di iniziare il nuovo pontificato con un segnale distensivo: a metà luglio concede l’amnistia per i reati politici e il rientro degli esuli. È il primo di uno dei provvedimenti che deciderà di adottare, spinto – osserva sempre Kertzer – dal desiderio “di avvicinarsi al suo popolo”. In pochi mesi, sull’onda del fermento liberale che non coinvolge solo Roma, arriva la creazione della Consulta di Stato, la formazione della Guardia civica, il via libera alle ferrovie. Un’apertura che mette in allarme la diplomazia e non convince molti osservatori contemporanei: i principi liberali di un governo costituzionale e di diritti civili non possono, alla lunga, essere compatibili con un’autorità divinamente ordinata come quella del Papa. La contraddizione, scrive in quei giorni il democratico Filippo De Boni, è insanabile: “Se la corte concede quando è necessario, abdica; se concede solo una parte, accende la lotta; se nulla concede, peggio”. Non solo. Le riforme limitate “concesse” da Pio IX innescano presto un’onda difficile da arrestare: “Una volta ammesso, seppur tacitamente, che gli assetti di governo dello Stato Pontificio non erano ordinati per volontà divina – nota Kertzer – l’intera logica del potere ecclesiastico rischiava di crollare”.
L'equivoco (insanabile) delle riforme
Pio IX si trova presto dentro la morsa di questa contraddizione. Per più di qualche mese continuerà a indugiare su questo equivoco: nei suoi proclami benedirà l’Italia, ma si risentirà spesso della reazione popolare che, anziché essergli grato delle concessioni ottenute, rivendicherà un governo democratico e pienamente liberale. Kertzer racconta bene come “pur sapendo che cedere alle suppliche della folla avrebbe potuto essere pericoloso, Pio IX sembra incapace di fermarsi”. E infatti non si ferma: nell’ottobre del 1847, sulla spinta delle istanze democratiche che infiammano mezza Europa, annuncia la creazione di un consiglio comunale per la città, composto da un centinaio di membri. “Se le cose seguiranno il loro corso naturale – commenta secco il cancelliere austriaco Metternich – si farà cacciare da Roma”. Sarà profetico.
La fuga a Gaeta
Lo scacco matto arriva coi moti del '48. Stretto dall’onda popolare dei moti e delle Cinque giornate, Pio IX decide di acconsentire l’invio di un esercito. La missione formale è proteggere i confini dello Stato dall’impero austriaco; di fatto, in pochi giorni lo Stato Pontificio si troverà implicato in una guerra con Vienna. “Autorizzando l’esercito a dirigersi a nord – nota Kertzer – Pio IX non fa altro che aderire a qualcosa che non aveva il potere di impedire”, ma di cui presto è costretto a prendere le distanze: il 29 aprile, con l'allocuzione “Non semel”, spazza via ogni equivoco sulla possibilità di creare un papato della Nazione, ritirando esplicitamente ogni appoggio alla causa italiana. E' il punto di non ritorno. A nulla varrà il disperato tentativo di conciliare i fermenti rivoluzionari e la ragion di stato vaticana da parte del nuovo presidente del consiglio Pellegrino Rossi, che pagherà con la vita quell’impegno. Poco più di un anno dopo della previsione profetica di Metternich, il 24 novembre del ’48, Pio IX deciderà di abbandonare la città eterna vestito come un semplice sacerdote e diretto a Gaeta. Da lì assisterà alla nascita della repubblica romana (che di fatto - scrive Kertzer - promuoverà anche per la sua inerzia, nonostante i ripetuti inviti da parte dei moderati a rientrare nella città) tornando nella città solo diciassette mesi dopo.
Il pontificato? La fine di un’epoca
Quella di Kertzer non è una biografia tradizionale. Per quanto racconti nella parte finale la restaurazione pontificia e la breccia di porta Pia fino agli ultimi anni del “Papa prigioniero dello Stato italiano", il libro si concentra in realtà sulla prima parte del pontificato, restituendo il ritratto di un uomo assai lontano dallo stereotipo consegnatoci dalla storiografia del secolo scorso. Il regno di Pio IX è un affresco ricco di rivolte, tradimenti, atti di viltà e di eroismo. Kertzer si fa carico di raccontarlo, incorciando i destini di uomini di primissimo piano (da Mazzini a Toqueville, da Metternich a Garibaldi) e le storie di personalità entrate da oltre un secolo nell’immaginario collettivo romano (come Ciceuracchio). Nel suo libro c'è l’agonia di un regno ma – al netto di qualche giudizio forse un po’ tranciante – c'è anche qualcosa di più: la fine di un modello che per secoli aveva influenzato il corso della civiltà occidentale. “Se nemmeno il papa poteva più affermare di governare il proprio regno per mandato divino – si chiede Kertzer alle fine del libro – come potevano gli altri monarchi rivendicare tale diritto?”. Una domanda a cui la storia si sarebbe presto incaricata di dare risposta.