La grande carestia: la guerra di Stalin all'Ucraina e quei 5 milioni di morti affamati

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Filippo Maria Battaglia

"La grande carestia": particolare della copertina del libro

IL LIBRO DELLA SETTIMANA Un saggio del premio Pulitzer Anne Applebaum racconta una delle più grandi stragi dell’Europa orientale del secolo scorso

In ucraino si scrive “holodomor”, in italiano si traduce “sterminio per fame”, ma l’espressione non restituisce ciò che accadde in poco più di due anni del secolo scorso in una delle repubbliche socialiste più popolose dell’Unione sovietica. Proviamo quindi a partire dai numeri: in Ucraina, tra il 1931 e il 1933, morirono oltre cinque milioni di persone. Morirono letteralmente di fame, in alcuni casi non prima di essere costretti a uccidere e a mangiare i corpi dei propri vicini di casa. Non si trattò solo di una delle più grandi carestie che colpì l’Europa orientale. Fu anche il risultato di un disegno consapevole. E' quanto racconta “La grande carestia”, un saggio firmato  dal premio Pulitzer Anne Applebaum, con un sottotitolo inequivocabile: “La guerra di Stalin all’Ucraina” (trad. M. Parizzi, Mondadori, pp. 540, euro 32).

“Occorre dare una lezione a questa gente”

Il saggio di Applebaum parte un ventennio prima di quella carestia, ovvero dalla guerra civile ucraina iniziata nel 1917, spiegando quanto a Kiev e dintorni l’identità linguistica e il patriottismo fossero intensi. Non solo. Ricorda come l'Ucraina fosse uno dei principali granai della Russia sovietica e di quanto la mancanza di grano fosse la prima emergenza. Per sconfiggere la fame, la ricetta dei comunisti era univoca: collettivizzazione. La campagna doveva fornire ogni risorsa alla crescita delle città e dell'apparato industriale del Paese. Non bastava attaccare i kulaki, i contadini “nemici dello stato” accusati di tenere per sé un surplus di cereali. Non bastava neppure creare la “črezvyčajnya komissija”, ossia la “commissione straordinaria” più tardi tristemente nota come čeka. Occorreva iniziare una sistematica repressione nei confronti di "clero e borghesia reazionaria", con l'obiettivo di "dare a questa gente una lezione adesso di modo che non osino nemmeno pensare a una resistenza nei prossimi decenni". Una lezione che sarebbe stata finalizzata da Stalin tra il ’31 e il '33. Oltre ai cinque milioni di morti, in poco più di due anni la polizia segreta sovietica arrestò 200mila dissidenti politici, chiuse scuole, accademie, facoltà universitarie e case editrici, distrusse chiese e sinagoghe. E soprattutto requisì ogni forma di viveri, con una caccia all’uomo feroce e implacabile.  Costringendo alla fame e all’inedia decine di milioni di persone. 

Le testimonianze

Applebaum scandaglia con un rigore documentale gli orrori accaduti in quel biennio. Ricostruisce la storia di bambini costretti a fuggire di casa dopo aver assistito a genitori che, in preda alla fame, uccidevano i propri figli e li mangiavano. Descrive intere città trasformate in spianate di cadaveri, con persone malate sepolte vive: “’Brava gente, lasciatemi stare. Non sono morto’, gemevano ‘i cadaveri’. ‘Va all’inferno! Vuoi che torniamo di nuovo domani?’ era la risposta”. Racconta la storia di un sopravvissuto, “tormentato dal ricordo di quando aveva trovato qualche barbabietola e l'aveva portate a sua nonna. Lei ne aveva mangiate due crude e le altre le aveva cotte. Era morta poche ore dopo: il suo corpo non aveva retto alla digestione”.

L’occultamento della propaganda

Scenari orrorifici, sepolti dalla propaganda sovietica per decine di anni. Su diretto ordine di Stalin, centinaia di migliaia di cadaveri vennero sotterrati in fosse comuni non localizzabili e i registri dei decessi vennero manipolati. Restava però il problema dellE statistiche. Nel censimento del 1939, per nascondere la devastazione causata dalla carestia, i sovietici  assegnarono all’Ucraina i moduli compilati da oltre 350.000 persone residenti altrove. Altri 375.000 morti furono “attribuiti” al Kazakistan. Tutti gli altri, semplicemente, non vennero conteggiati. Della “grande carestia”, nei documenti ufficiali, non restò traccia. Con buona pace di Stalin che proprio in quei mesi, durante il XVIII Congresso del partito, avrebbe potuto elogiare “il sole della grande rivoluzione socialista” e “i grandi mutamenti avvenuti nella vita del popolo”.

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