Perché la Cisgiordania è diventata centrale nelle strategie di Israele

Il Parlamento di Israele ha dato il via libera al riconoscimento di 19 nuovi insediamenti nell’area della Cisgiordania. La notizia sarebbe già significativa in condizioni normali, dal momento che la Cisgiordania è teoricamente un’area palestinese e gli insediamenti dei coloni sono illegali secondo il diritto internazionale, ma è resa ancora più significativa nel momento storico in cui si colloca. Infatti, non solo le questioni tra israeliani e palestinesi sono bloccate nel fragile equilibrio imposto dal cessate il fuoco voluto da Trump nella Striscia di Gaza, ma da tempo la Cisgiordania è oggetto di una capillare e costante occupazione da parte dei coloni israeliani, che prendono con la violenza le aree della Cisgiordania, cacciando i residenti palestinesi e impadronendosi delle loro terre. “Gli avamposti di insediamento – scrive Al Jazeera – illegali secondo il diritto internazionale, vengono creati da un piccolo gruppo di coloni senza previa autorizzazione governativa. Ciò non significa che i coloni, spesso più ideologici e violenti, non godano della protezione del governo. Le organizzazioni israeliane per i diritti umani affermano che i coloni in questi cosiddetti avamposti godono di protezione, elettricità e altri servizi da parte dell’esercito israeliano. La formalizzazione apre le porte a ulteriori finanziamenti governativi, infrastrutture ed espansione”. La questione dei coloni e dei loro insediamenti non è nuova – al contrario va avanti da decenni –, ma è sotto l’esecutivo in carica che ha ricevuto un’eccezionale spinta in avanti. “La decisione di oggi – scrive il Guardian – porta il numero totale di nuovi insediamenti negli ultimi anni a 69, un nuovo record, secondo il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich, che ha promosso un programma di espansione degli insediamenti in Cisgiordania. L’approvazione da parte del gabinetto di sicurezza aumenta il numero di insediamenti in Cisgiordania di quasi il 50% durante il mandato dell’attuale governo”. Il riconoscimento israeliano di questi 19 insediamenti, due dei quali erano stati smantellati dagli israeliani nel 2005 su ordine del premier Ariel Sharon, si colloca dunque in un quadro di volontà di annessione della Cisgiordania e di espansione del territorio di Israele. “Che l’annessione venga formalizzata o meno – scrive l’International Crisis Group –, i cambiamenti apportati da Israele stanno cancellando le distinzioni residue tra la vita negli insediamenti in Cisgiordania e la vita in Israele. Per i palestinesi della Cisgiordania, a cui Israele nega i diritti fondamentali, queste misure riducono la possibilità di ottenere uno Stato o di vivere una vita normale nella loro patria”. Non solo, ma questo ennesimo riconoscimento si colloca al termine di una serie di violenze e decisioni prese dall’esecutivo israeliano che mirano esplicitamente alla fine dell’esperienza palestinese in Cisgiordania. Non solo l’aumento degli insediamenti dei coloni, ma anche la decisione del Parlamento della scorsa estate di autorizzare insediamenti nell’area E1 – che di fatto taglierebbe in due la regione –, o la decisione dell’aula di includere tra gli obiettivi del governo l’annessione di Giudea e Samaria , o le crescenti violenze contro contadini e ulivicoltori dell’area. “I coloni – scrive BBC – godono del sostegno del governo, che secondo alcuni sta spingendo la Cisgiordania verso un pericoloso scontro. La raccolta annuale delle olive, quando i palestinesi cercano di accedere ai loro terreni agricoli, segna spesso un picco di violenza, ma gli attacchi di quest’anno hanno battuto i record delle Nazioni Unite. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha registrato più di 260 attacchi di coloni che hanno causato vittime palestinesi o danni alle proprietà solo nel mese di ottobre: il conteggio mensile più alto da quando è iniziato il monitoraggio nel 2006”. Azioni che, nel complesso, lasciano leggere con chiarezza il senso delle decisioni israeliane: decisioni volte, lo si dichiari o meno, a impedire non solo la nascita di uno Stato palestinese – che al momento non esiste neppure sulla carta – ma persino la permanenza dei palestinesi sul territorio.

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Luciana Grosso