Perché il sequestro della petroliera venezuelana agita Capitol Hill

Ogni volta che si parla di Donald Trump, si tende a dimenticare un elemento chiave della sua storia politica. Ed è che, qualunque siano le immagini che posta sui social, il suo ruolo è, fino a prova contraria, quello di un Presidente, non di un monarca. E che dunque, indipendentemente da quel che egli stesso possa volere o meno, le sue azioni sono soggette al voto del Congresso. E questo, a sua volta, è soggetto a quello popolare, che si terrà tra meno di un anno e per il quale i deputati e i senatori si stanno già preparando, anche smarcandosi, se serve, dalle posizioni meno popolari del Presidente. Questi due dati di fatto suonano particolarmente interessanti quando si tratta della questione Venezuela. Il conflitto, mai dichiarato né ufficialmente iniziato, ma per molti aspetti già in corso tra Washington e Caracas, infatti si trova in un punto particolarmente cruciale del suo percorso. Da un lato potrebbe deflagrare, dando inizio a una guerra vera e propria. Dall’altro potrebbe fermarsi del tutto. Questo perché nelle ultime ore sono successi eventi uguali e contrari che potrebbero condurre la vicenda in due direzioni completamente opposte. Il primo, di cui ha dato notizia Bloomberg, è che le forze statunitensi hanno intercettato e sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela. La notizia di Bloomberg è stata confermata dalla procuratrice generale Pam Bondi con un video che mostra il personale statunitense calarsi in corda doppia da un elicottero sul ponte della petroliera. Il sequestro dell’imbarcazione è particolarmente significativo perché, come spiega CNN, “anche se la petroliera potrebbe non essere direttamente collegata all'attuale scontro tra Trump e Maduro, la sua interdizione sarà vista nel contesto di un massiccio rafforzamento della marina statunitense nei Caraibi, che fa parte di un apparente tentativo di costringere Maduro a lasciare il potere o di convincere i suoi subordinati a destituirlo”. Non solo, ma secondo Politico, il sequestro potrebbe di fatto avere un importante effetto sull’equilibrio del Venezuela, Paese nel quale, a questo punto non è un mistero, il governo Trump vuole avviare un cambio di regime. “Il sequestro - scrive Politico - potrebbe esercitare pressioni sugli spedizionieri affinché smettano di acquistare greggio venezuelano, con conseguente potenziale restringimento delle scorte globali di petrolio” e dunque maggiore mercato per quello USA. Un episodio, questo della petroliera, che dunque porta il conflitto, che oggi è allo stesso tempo in potenza e in atto, a un nuovo livello di intensità, perché, questa volta, è esplicito che la droga e il presunto ruolo del Venezuela nel suo traffico non c'entrano niente con le operazioni USA e che dunque fa cadere la giustificazione di lotta al narcoterrorismo con il quale Trump aveva giustificato sino ad ora le sue azioni. Per questo è significativo che nelle stesse ore le cose abbiano preso a muoversi anche al Congresso. Infatti, anche se Trump ha sempre fatto orecchie da mercante su questo punto, il sistema americano impone che qualunque azione militare debba essere autorizzata dal Parlamento. Un’autorizzazione, rispetto al Venezuela, sino ad ora non solo non c’è mai stata, ma non è nemmeno mai stata richiesta. Ora però, anche alla luce dell’escalation e delle polemiche che ne sono seguite , il voto si è fatto inevitabile. “La decisione del presidente Donald Trump di sequestrare una petroliera venezuelana - scrive Punchbowl News - sta dando nuova urgenza agli sforzi per richiedere l'approvazione del Congresso per qualsiasi operazione militare nella regione, mentre crescono i timori di un conflitto armato. Le risoluzioni sui poteri di guerra della Camera e del Senato che richiedono l'autorizzazione del Congresso per un'azione militare contro il Venezuela saranno pronte per essere discusse in aula la prossima settimana. E i legislatori di base di entrambi i partiti affermano che la Casa Bianca non ha giustificato la sua campagna”. Nonostante dunque il voto appaia a questo punto imminente, il suo esito non lo è affatto. Al contrario, se e quando il voto dovesse concretizzarsi, l’operazione di Trump in Venezuela entrerà in terra sconosciuta. Perché, come dicevamo in apertura, i deputati e i senatori statunitensi sono già in campagna elettorale e, dunque, propensi a favorire le istanze dei cittadini dei loro collegi invece che quelle del Presidente in caduta libera di popolarità e, comunque, arrivato al suo ultimo giro alla Casa Bianca. I numeri dicono che il vantaggio di Trump, in entrambi i rami del Parlamento, è piuttosto risicato: 7 deputati e 3 senatori. Alla Camera, a meno di sorprese, le indicazioni trumpiane potrebbero avere il via libera. Ma appare difficile che questo possa succedere anche al Senato, dove già due senatori repubblicani hanno firmato una mozione bipartisan per fermare le operazioni e dove almeno altri due repubblicani hanno espresso freddezza nei confronti delle decisioni trumpiane sul Venezuela. Così, forse, questo conflitto, il suo esito o il suo conclamato inizio, il suo restare in potenza o trasformarsi in atto, si deciderà non nel mare del Venezuela, ma nell’aula del Senato di Washington.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Perché il sequestro della petroliera venezuelana agita Capitol Hill

Luciana Grosso