Asilo e paesi terzi, cosa cambia per chi vuole entrare in Europa

L’UE riscrive le sue regole sull’immigrazione. E lo fa in buona sostanza rivedendo le regole che consentono l’ingresso nel continente. Una riunione dei ministri degli Interni infatti, ha stabilito un nuovo regolamento che dovrà rivedere le forme e i modi di ingresso nel territorio dell’Unione e di concessione dell’asilo, ossia del permesso di rimanervi perché la propria vita o sicurezza sono in pericolo altrove. Il nuovo regolamento, si muove sostanzialmente secondo due tronconi. Il primo è quello che riguarda i Paesi di origine dei richiedenti asilo; il secondo è quello che riguarda i cosiddetti Paesi terzi, ossia quelli che non sono né di provenienza né europei. Per quel che riguarda i Paesi di provenienza dei migranti, il consiglio ha dato il via libera a un elenco di luoghi considerati sicuri, ossia nei quali i cittadini “godano di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzione o gravi violazioni dei loro diritti fondamentali”. In base a questa logica, i richiedenti asilo in arrivo da queste aree non avrebbero nulla da cui scappare e dunque nessun motivo solido per essere accolti in UE. La lista - passibile di correzioni- per ora include Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia e i Paesi candidati all’adesione all’UE, con l’eccezione di luoghi di conflitto, come l’Ucraina. Un aspetto interessante, e che riguarda l’italia e l’infinita disputa sui centri di accoglienza in Albania, è quello per cui il regolamento del Consiglio, consente, ai singoli stati membri di stilare loro autonomi elenchi e decidere ingressi o respingimenti in modo relativamente autonomo. Questo potrà essere fatto, per esempio, su base statistica e se le richieste asilo dei cittadini di un Paese vengono accolte in meno del 20% dei casi, allora questo potrebbe voler dire che il Paese in questione è sicuro e che dunque anche altre richieste potrebbero essere respinte. Su questa base, è verosimile credere che i permessi di accesso all’UE si ridurranno di numero e frequenza. A tutto questo, poi si aggiungeranno gli effetti del secondo troncone del regolamento europeo: quello che riguarda i Paesi terzi. “Il concetto di paese terzo sicuro consente agli Stati membri dell'UE di respingere una domanda di asilo in quanto inammissibile quando i richiedenti asilo avrebbero potuto chiedere e, se idonei, ottenere protezione internazionale in un paese extra-UE considerato sicuro per loro. Secondo le norme aggiornate concordate dal Consiglio, gli Stati membri potranno applicare il concetto di paese terzo sicuro sulla base delle tre opzioni seguenti: esiste un "collegamento" tra il richiedente asilo e il paese terzo. Tuttavia, il collegamento non sarà più un criterio obbligatorio per l'utilizzo del concetto di paese terzo sicuro; il richiedente ha transitato attraverso il paese terzo prima di raggiungere l'UE; esiste un accordo o un'intesa con un Paese terzo sicuro che garantisca che la richiesta di asilo di una persona venga esaminata nel Paese extra-UE in questione”. In buona sostanza si tratta di un elenco di Paesi extra UE considerati sicuri nei quali i richiedenti asilo avrebbero potuto chiedere riparo, magari perché li hanno incontrati nel loro percorso di avvicinamento al territorio europeo o perché vi hanno legami. Di fronte a queste condizioni, la loro richiesta potrebbe essere respinta. Infine esistono altri due aspetti della questione che riguarda molto da vicino l’Italia. Il primo è il fatto che l’UE valuta di replicare il ‘modello Albania’ ossia l’apertura di centri di rimpatrio al di fuori del territorio UE che potrebbero diventare sia luoghi di transito che di destinazione finale per chi lascia l’Unione Europe. Il secondo è che potrebbe vedere la luce un sistema di quote. In particolare si ipotizza che i Paesi che, per effetto della geografia e del regolamento di Dublino, sono sotto maggiore pressione migratoria potrebbero beneficiare di 21 mila ricollocamenti l’anno. In buona sostanza i migranti che oggi si trovano in questi Paesi potrebbero essere ripartiti tra i vari Paesi europei. Si tratta di una norma in discussione da tempo, ma che incontra non pochi problemi. In primo luogo sarà indigesta ai Paesi che dovessero essere meta di ricollocamento; in secondo luogo potrebbe essere indigesta anche ai migranti stessi, che potrebbero voler decidere dove recarsi; in terzo luogo potrebbe rappresentare un problema anche per i Paesi che dovrebbero beneficiarne, come l’Italia. Questo perché i ricollocamenti saranno possibile solo a fronte di un dimostrato impegno nel trattenere sul proprio suolo i migranti. Una circostanza che oggi accade poco, dal momento che gran parte di chi arriva in Italia, poi si reca in Francia, Germania, Svezia o Regno Unito.

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Luciana Grosso