Architects for Gaza, Yara e Nasser: "Le macerie? Parte dell’identità"

“Gaza non è una torta da spartire: ha una sua identità e una sua storia, per questo la ricostruzione deve iniziare con il riconoscimento dei diritti dei gazawi, e non con l'imposizione di un piano da parte di un gruppo di estranei”. Gli architetti britannici Yara Sharif e Nasser Golzari raccontano il processo di ricostruzione della Striscia, ormai quasi completamente distrutta dai ripetuti bombardamenti israeliani che, dal 2023, proseguono senza sosta annientando e danneggiando edifici, scuole, strade, case. Fondatori del collettivo Architects for Gaza, Yara, originaria della Palestina, e Nasser, dell'Iran, si battono ogni giorno per i diritti di una terra “ricca di storia, cultura e passato” e di un popolo “forte, coraggioso e resiliente”, spiegano a Sky Tg24 Insider. Come evidenzia Unosat, a Gaza sono stati demoliti il 94% degli ospedali, il 90% delle abitazioni, il 77% delle scuole e il 65% delle strade. E l'86% dei campi non è più coltivabile. Il processo di ricostruzione non può, secondo Yara e Nasser, escludere il coinvolgimento diretto del popolo palestinese. “Bisogna aprire le frontiere, stanziare fondi, dare potere ai gazawi, alle istituzioni e alle organizzazioni locali affinché assumano un ruolo effettivo nella ricostruzione”, sottolineano. Nonostante le gravi limitazioni, la mancanza di risorse e la devastazione tutt'intorno, gli abitanti della Striscia “continuano a lavorare duramente per pulire le strade, per consentire il passaggio delle ambulanze, per permettere alle persone di tornare nelle loro case, per fornire acqua dove possibile”. Stando alle stime delle Nazioni Unite, a Gaza oggi ci sono 53 milioni di tonnellate di macerie: una quantità talmente elevata che richiederebbe oltre vent'anni di lavori per la completa rimozione. Ma per i due architetti, impegnati in diversi progetti a supporto della popolazione locale, quelle rovine sono “parte dell'identità del paesaggio, ciò che resta dei quartieri, delle strade, delle case, dei ricordi della gente: eliminarle vuol dire cancellare questa identità”. In questo senso, una riflessione sulle tecniche di riciclo e di riutilizzo dei materiali assume un ruolo centrale. “Gaza è sotto assedio dal 2009 e questo ciclo di distruzione-ricostruzione va avanti da allora. Ma nel corso degli anni gli abitanti hanno sviluppato metodi per riutilizzare i materiali provenienti dalle macerie e ricostruire le loro case”, evidenziano i progettisti, autori dell'installazione Objects of Repair che, esposta al padiglione britannico della Biennale di Venezia, esamina il ruolo delle rovine nella creazione di nuovi edifici. Per Yara e Nasser, qualsiasi piano di ricostruzione che “vede Gaza come una tela bianca su cui si può andare a costruire ciò che si vuole” risulta “pericoloso e deve essere respinto”. La Striscia non può essere “ridisegnata dalle potenze occidentali” perché “appartiene solo ed esclusivamente al suo popolo”. L'obiettivo è “vedere una Gaza autosufficiente, una Gaza ricostruita, una Gaza e una Palestina finalmente libere”. Vorrei partire con la vostra storia. Come è nato il collettivo Architects for Gaza? Nasser: Architects for Gaza è stata fondata nel novembre 2023. Yara è palestinese e ha familiari in Palestina. Quando sono iniziati i bombardamenti, fin da subito per noi è stato molto importante capire come e cosa potevamo fare come architetti, perché abbiamo delle responsabilità etiche quando si parla di ecocidio e di eventi che hanno un impatto enorme sull'ambiente, sulla giustizia sociale, sul diritto alla città, al quartiere e alla casa. Abbiamo quindi dato vita ad Architects for Gaza per cercare di capire come poter aiutare nella ricostruzione a lungo termine e a breve termine. Yara: E anche per amplificare la voce di Gaza. Qual è la vostra missione? Yara: La nostra missione continua a evolversi. Quando è iniziato il genocidio abbiamo lavorato soprattutto su due aspetti chiave. Il primo era quello di amplificare la voce di Gaza. Così, abbiamo avviato il progetto Gaza Global University in collaborazione con l'Università di Najaf in Cisgiordania, per potenziare le istituzioni accademiche di Gaza offrendo agli studenti un sostegno educativo online. Questa iniziativa ha attirato centinaia di educatori volontari da tutto il mondo e oltre 30.000 studenti che si sono iscritti all'Università di Najaf. L'altro obiettivo era quello di pensare alla ricostruzione. Abbiamo lavorato a stretto contatto con architetti e istituzioni locali a Gaza per ragionare su mezzi, tecniche e principi di ricostruzione architettonica. Attualmente stiamo operando su siti molto specifici per cercare di capire come ricostruirli e come gestire le rovine. E nel frattempo affrontiamo anche questioni di memoria e di identità. La nostra missione implica anche parlare, esprimersi, invitare le istituzioni ad assumersi le proprie responsabilità o a prendere posizione contro ciò che sta accadendo, in particolare nel silenzio e nel doppio standard che continua a esserci quando si tratta di Gaza e della Palestina. Nasser: Ed è molto importante per noi contribuire e agevolare l'empowerment della popolazione locale, senza imporre nulla dall'esterno. Lavoriamo a Gaza da diversi anni, ben prima del 2023: precisamente dal 2009. Il nostro obiettivo, come professionisti, è assicurarci che Gaza venga supportata. La Striscia di Gaza oggi è quasi completamente distrutta. Qual è l'entità dei danni? Nasser: A Gaza l'85-90% degli edifici è stato danneggiato in modo totale o parziale. Questo è il danno fisico, poi naturalmente c'è anche un danno psicologico. Ma, allo stesso tempo, tra la popolazione c'è una resistenza e una resilienza molto estese. Questo ci dà l'energia per continuare a fare il nostro lavoro. Le strutture esistono ancora e questo è un aspetto molto importante da ricordare. Quello che vediamo attraverso i media mainstream sono macerie, demolizione, distruzione. Ma quello che non vediamo è l'altra faccia della medaglia... Yara: L'altra faccia della medaglia è tutto quello che si sta facendo a Gaza in questo momento: tutte le pratiche creative e innovative che gli abitanti stanno mettendo in atto per sopravvivere e resistere perché, nonostante la limitatezza delle risorse, cercano davvero di portare speranza. Lavorano molto duramente per pulire le strade, per consentire il passaggio delle ambulanze, per permettere alle persone di tornare nelle loro case, per fornire acqua dove possibile. Gaza è ancora devastata, ma si sta cercando di andare avanti nonostante le limitazioni. L'unico modo per far funzionare le cose è fermare questo assedio e riconoscere i diritti fondamentali dei gazawi affinché possano essere protagonisti della ricostruzione delle loro città. Qual è la vostra idea per la ricostruzione di Gaza? Nasser: Noi non crediamo in nessun piano generale e non crediamo nell'imposizione di un immutabile progetto dall'esterno. La ricostruzione di Gaza, per noi, deve avvenire dall'interno. I gazawi hanno il diritto di ricostruire le loro case, le loro strade e i loro quartieri perché hanno le conoscenze, hanno l'esperienza, hanno già un piano urbanistico su cui hanno lavorato negli ultimi anni. Hanno bisogno di essere aggiornati. Tutto quello che possiamo fare è semplicemente agevolarli. Yara: Gaza non è una tabula rasa, non è una tela bianca da ridisegnare. Gaza ha una sua identità, ha un suo grande passato ed è un luogo con 5.000 anni di storia: questo deve essere riportato alla luce e l'unico modo per farlo è dare spazio e voce alla popolazione locale. La ricostruzione inizia riconoscendo i diritti dei gazawi e aprendo le frontiere, non con un gruppo di estranei che impone certe idee. Nasser: La ricostruzione è iniziata subito dopo il 2023, non dopo il cosiddetto cessate il fuoco. Aleggia questo mito secondo cui per ricostruire la Striscia ci vorranno altri 50 anni, ma non è così. Basta togliere l'assedio, togliere l'occupazione, consentire l'ingresso delle attrezzature e permettere alla popolazione locale di continuare a fare ciò che sa fare. In questo modo la ricostruzione da parte dei residenti sarebbe più veloce, efficiente e sostenibile. Vogliamo davvero che i media condividano il fatto che il comune e il popolo di Gaza stanno effettivamente ricostruendo e riparando, mentre continuano a cadere bombe. Quando abbiamo fondato la Gaza Global University nel dicembre 2023, dopo che gli atenei erano stati bombardati nel novembre 2023, abbiamo pensato che dovevamo fare qualcosa. Non sapevamo esattamente quale fosse il nostro ruolo, perché non volevamo imporre nulla dall'esterno. Ma quando l'abbiamo fondata, nel giro di un mese, 30.000 studenti si sono iscritti per continuare il loro percorso. Hanno lavorato in condizioni molto difficili, ma sono riusciti a laurearsi mentre era in corso l'offensiva. Il processo di ricostruzione della Striscia di Gaza sarà totale, perché la regione è parzialmente o totalmente distrutta. In che modo si potrà realizzare nuovi edifici conservando contemporaneamente l'identità storica del luogo? Yara: Molti edifici sono stati completamente o parzialmente distrutti e ora la discussione verte sull'importanza di riportare questi edifici al loro aspetto originario. Naturalmente, Gaza è anche ricca di patrimonio culturale, con molti edifici importanti che un tempo la identificavano, come le moschee e i caravanserragli. Ma ha anche un'identità molto particolare in termini di costa, tessuto rurale e città. Ognuno di questi elementi merita di essere conservato e riportato al suo antico splendore. Ma ci sono anche aspetti che devono essere esaminati. Qualsiasi idea di ricostruzione a Gaza deve considerare un approccio olistico. Quando parliamo di Gaza e di ciò che dovremmo riportare in vita, ci riferiamo anche alle pratiche, ai rituali quotidiani e a tutti i valori che non sono “visibili”. Ancora più importante è il fatto che Gaza è parte integrante della Palestina storica. Quando pensiamo a Gaza, dobbiamo pensare anche al diritto alla libertà di movimento, al diritto alla connettività, al diritto alle risorse naturali, rafforzando il rapporto e l'identità di Gaza con il resto della Palestina. Ma ci sono anche altre questoni che meritano di essere approfondite. Quali, nello specifico? Yara: Cosa fare con le macerie? Una delle cose su cui abbiamo lavorato come Architects for Gaza è cercare di trovare un modo per integrare alcune rovine nel processo di ricostruzione. Le macerie possono diventare uno strumento per estendere leggermente il bordo costiero, per esempio? E ancora, quanta acqua si può aggiungere senza danneggiare l'ambiente? Quanto si può proteggere la popolazione locale? Molti campi profughi in cui è presente l'amianto sono stati distrutti e nell'aria sono state rilasciate sostanze tossiche. Quindi, come affrontiamo la questione dei campi profughi? Come affrontiamo quella dei grattacieli e quella delle famiglie che vivono in edifici più bassi? Si tratta di domande importanti, perché dobbiamo sempre tenere in considerazione i gazawi che sono rimasti senza una casa. Secondo le Nazioni Unite, ci sono 53 milioni di tonnellate di macerie. Come si può trasformare le rovine in nuove città? Nasser: Le rovine sono in realtà molto importanti per noi, perché rimandano all'identità di Gaza e ai ripetuti tentativi di cancellazione di Gaza stessa. Le rovine sono ciò che resta del quartiere, della città, della strada, delle case, dei ricordi delle persone. Le rovine, così come le vediamo, sono in realtà parte dell'identità del paesaggio ed eliminarle significa anche cancellare l'identità del luogo. Per questo siamo fortemente contrari a qualsiasi forma di piano generale che provenga dall'esterno e che veda Gaza come una tela bianca su cui si può semplicemente andare a costruire ciò che si ritiene giusto. Noi continuiamo a ribadire che le rovine svolgono un ruolo importante nella storia di questo luogo, e preservarne alcuni aspetti significa in realtà scandire il tempo della vita e della cultura a Gaza e in Palestina: qualcosa che, negli ultimi 70 anni e oltre, è stato continuamente oggetto di tentativi di eliminazione da parte degli occupanti. Quando siamo andati a Gaza, abbiamo iniziato a sviluppare tecniche su come riciclare e riutilizzare alcuni materiali. Ricordiamo che Gaza è sotto assedio dal 2009 e questo ciclo di distruzione-ricostruzione-distruzione-ricostruzione va avanti da tempo. Negli anni gli abitanti hanno sviluppato tecniche di riutilizzo dei materiali per ricostruire le loro case continuamente bombardate. Ci sono parti delle macerie che possono essere riutilizzate e altre che devono invece essere rimosse. E credo che ci siano tentativi di allarmare la società sull'entità delle macerie, in modo da giustificare, in un certo senso, l'Eurasia. Ecco perché nutro dei dubbi sul fatto che alcune di quelle cifre possano essere accurate, ma non dovrebbero impedirci di ricostruire Gaza sulla base di ciò che resta al momento. Yara: Una delle cose di cui abbiamo discusso è se ci possa effettivamente essere un modo per pensare alle macerie come a una sorta di “pelle permeabile”, in grado di creare una sorta di tessuto esterno per distinguere i vecchi quartieri e le vecchie strade. Dunque, mantenere le macerie o parte di esse come uno spazio intermedio capace di segnare il tempo, mentre nuove case ed edifici si evolvono. Nasser: La nostra installazione alla Biennale di Venezia è un'opera che mostra ciò che stiamo effettivamente testando ed esplorando in termini di riutilizzo dei materiali esistenti per creare questa pelle permeabile, appunto. Mentre lavoravamo alla ricostruzione di Gaza collaborando con i partner locali, uno degli aspetti chiave è stato quello di rendere gli abitanti parte centrale della discussione, della progettazione e del processo di ricostruzione. Abbiamo avviato un fondo per dare potere agli architetti locali. Secondo le stime della Banca Mondiale del febbraio 2025, l'importo necessario per ricostruire gli edifici nella Striscia di Gaza ammonterebbe a 53 miliardi di dollari. In che modo è possibile ricostruire la regione in termini economici? Nasser: Non so da dove queste istituzioni raccolgano i dati e le stime, ma credo che la cifra non sia il problema. Penso piuttosto che dovremmo concentrarci su come aiutare le famiglie a ricostruire le loro case con ciò che è rimasto, revocando immediatamente l'assedio. Yara: Sappiamo per certo che Gaza ha bisogno di risorse, non di aiuti. Gaza ha bisogno che venga riconosciuto il suo diritto alla ricostruzione. E c'è una grande differenza tra parlare di ricostruzione in termini di aiuti esterni, come una sorta di sostegno caritatevole, e suggerire invece di aprire le frontiere, stanziare fondi, dare potere ai gazawi, alle istituzioni e alle organizzazioni locali affinché assumano un ruolo nella ricostruzione. Quando parliamo di ricostruzione o di finanziamenti, dobbiamo anche pensare alle strategie: se questi soldi vengono destinati alle organizzazioni internazionali per pagare gli stipendi degli enti stranieri che vengono a supervisionare, invece di finanziare la ricostruzione vera e propria, allora è da discutere. Vogliamo anche imparare dalle esperienze precedenti e penso che Gaza meriti di essere trattata come merita, con dignità e rispetto. Piuttosto, Israele dovrebbe essere ritenuto responsabile e pagare per queste perdite e distruzioni. Naturalmente in questa distruzione c'è un aspetto che nessuna cifra economica potrà mai restituire: il disastro ambientale, la catastrofe, i corpi andati perduti, le sostanze cancerogene che la gente ha respirato nell'aria. Quando discutiamo di ricostruzione, discutiamo anche di riparazione. Nasser: Ma, ancora una volta, queste cifre che cosa includono? Includono materiali che saranno importati dall'estero, come vetro, acciaio e qualsiasi materiale fabbricato da aziende esterne per i loro profitti? Oppure si tratta di rafforzare le capacità interne, consentendo la ricostruzione delle fabbriche locali e permettendo agli agricoltori di coltivare i loro prodotti, piuttosto che continuare a importare cibo da fuori? Qual è il primo passo da fare, secondo voi? Yara: La prima mossa è ricostruire le infrastrutture: il diritto all'acqua, il diritto al gas - perché Gaza è ricca di gas di cui le grandi potenze si appropriano, vietando alla popolazione palestinese l'utilizzo di questa risorsa naturale. Il timore oggi è che il mondo occidentale veda Gaza come una torta, di cui tutti vogliono una fetta. Ne sono un esempio le parole del premier britannico Keir Starmer, che ha detto: “Preparatevi a partecipare al processo di ricostruzione di Gaza”. Nasser: Gaza non ha bisogno di carità, non ha bisogno di qualcuno che cerchi di sfruttarla per il proprio tornaconto finanziario. Yara: Abbiamo a che fare con un numero enorme di edifici distrutti e milioni di persone che hanno bisogno di tornare nelle loro case. Ma dobbiamo parlare anche di sostenibilità sociale, sostenibilità economica e sostenibilità ambientale. Quando si tratta di giustizia climatica ed ecosistema, Gaza viene esclusa dalla scena, come se non contasse nulla. Nell'ultimo anno sono state fatte diverse - e discutibili - ipotesi sul futuro della Striscia, tra cui il controverso piano di Donald Trump che prevedeva di trasformare Gaza in un “resort”. Qual è la vostra opinione a riguardo? Yara: Non credo che Trump meriti molto del nostro tempo. Quello che dobbiamo dire è che la Palestina, in quanto Paese colonizzato e occupato, ha sofferto molto per questo tipo di atteggiamento coloniale dell'Occidente, che crede di poterne reinventare il paesaggio. Alcuni funzionari israeliani hanno chiaramente detto: “Vogliamo trasformare Gaza in una tela bianca e ridisegnarla di nuovo”. Gaza non è una terra vuota che può essere ridisegnata dalle potenze occidentali. Gaza appartiene al suo popolo. Non dovremmo neppure permettere che una tale retorica venga normalizzata. Piuttosto, la domanda che dovremmo porci è: Israele sarà ritenuto responsabile dei crimini di guerra, dell'ecocidio, del genocidio? Chi pagherà per la ricostruzione di tutti questi edifici? Come gestiremo i monumenti e siti storici che sono stati distrutti? Gaza non merita di vedere la storia ripetersi e non merita di cadere nella stessa trappola. Nasser: Gli abitanti di Gaza hanno immaginazione più che sufficiente per ricostruire le loro case: non hanno bisogno di un'intelligenza artificiale, non hanno bisogno che altre persone vadano a fare ipotesi su un luogo in cui non sono mai stati. Gaza ha una sua storia, un suo popolo creativo, un suo tessuto urbano con edifici, cortili, scuole. Yara: Gaza è una città costiera che importava spezie dall'India, che era molto ricca di modernità, che aveva la sua stazione ferroviaria, i suoi pescatori, la sua agricoltura, le sue fragole, i suoi manghi, i suoi fiori. Questa è la Gaza che vogliamo ricordare, non la Gaza che Tony Blair, Donald Trump, Keir Starmer o chiunque altro stanno cercando di sovrapporre, ancora una volta, a spese dei palestinesi. Il problema principale a cui si assiste oggi è quello di discutere della ricostruzione di Gaza senza considerare il ruolo della popolazione locale... Nasser: Esatto. Qualsiasi forma di ricostruzione che non considera i gazawi - e qui stiamo parlando di oltre due milioni di persone - è destinata a fallire. Non esiste alcun esempio al mondo di luoghi che sono stati ricostruiti senza tenere conto delle comunità. Penso che qualsiasi forma di pratica sostenibile - che sia sensata, logica, che crei giustizia umana, giustizia climatica - debba includere la piena partecipazione della popolazione locale in ogni processo decisionale. Per i progetti a cui abbiamo lavorato, ci siamo consultati quotidianamente comunicando con i gazawi e con il team tecnico. Come immaginate il futuro nella Striscia di Gaza? Yara: Il futuro di Gaza potrà essere roseo solo con la revoca dell'assedio e il riconoscimento del diritto della popolazione di ricostruire. Nasser: Noi vogliamo ribadire che la ricostruzione non si è mai fermata: la gente ha continuato a insegnare, a studiare, a ricostruire, a riparare, a pulire. I gazawi non si sono mai fermati, perché quella è la loro casa. In una delle nostre presentazioni, abbiamo mostrato un francobollo del 1953 che mostrava il percorso da Alessandria a Beirut: quell'itinerario passava per Gaza. Quella vita, quella ricchezza, quella conoscenza esistevano davvero. Ai palestinesi devono essere forniti supporto e fondi per ricostruire le loro case. Solo così ci sarà un futuro. Mi avete detto quale futuro immaginate per Gaza. Ma ora vi chiedo: quale futuro desiderate per Gaza? Yara: La liberazione, la fine dell'occupazione, la revoca dell'assedio. Vogliamo vedere Gaza City diventare una vera città costiera palestinese, dove anche i residenti di Ramallah possono recarsi in giornata per un pranzo. Vogliamo una Gaza autosufficiente, una Gaza ricostruita, una Gaza rafforzata. È un processo lungo e continuo, sì. Ma il futuro che vorremmo vedere è quello di una Gaza e di una Palestina libere. Solo allora potrà esserci giustizia. Senza la liberazione, la Palestina non avrà mai il diritto alle risorse e al potere di cui ha bisogno. Nasser: Vorrei che l'assedio fosse revocato immediatamente. Vorrei che i gazawi iniziassero subito a discutere su come continuare la ricostruzione. Vorrei che i palestinesi potessero godere della loro terra, delle loro case, dei loro quartieri, ed essere parte del processo decisionale. Se questo non dovesse succedere, sarebbe una cicatrice e una ferita nella storia dell'umanità. Yara: Penso che anche la comunità internazionale debba svolgere un ruolo nel ripensare a ciò che è successo e nel raccontare nuovamente la storia. Purtroppo, Gaza è stata vittima anche del silenzio della comunità internazionale e della complicità dei politici di tutto il mondo. Nasser: La situazione a Gaza ha dimostrato quanto i politici siano distanti, in realtà, dalla gente comune. Perché milioni di persone in tutto il mondo hanno sostenuto Gaza, milioni di persone sono scese in piazza e hanno marciato nelle strade. Più nascevano proteste tra i cittadini e più cresceva il divario tra la popolazione e coloro che dovrebbero rappresentarla. Quale messaggio volete trasmettere a chi vi legge? Yara e Nasser: Ci teniamo a dire che i palestinesi apprezzano molto tutte quelle persone, anche in Italia, che si sono schierate a favore di Gaza, della Palestina e della giustizia. Speriamo che i lettori possano ripensare, vedere e ricordare Gaza non come un luogo di rovine, ma come un Paese che ha alle spalle 4.000 o 5.000 anni di cultura e storia. Chiediamo di continuare a fare pressione affinché Gaza e la Palestina siano liberate, perché il potere della collettività può davvero fare la differenza.

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Architects for Gaza, Yara e Nasser: "Le macerie? Parte dell’identità"

Silvia Donnini