Inverno demografico, come (non) funziona il “modello ungherese”

“Ciò che rende l’Ungheria speciale è che il declino della popolazino è da anni al centro del dibattito pubblico. Tutti i discorsi del governo lo menzionano e quando parli con le persone tutti sanno qual è il livello di sostituzione demografica: 2,1 figli per donna. Mentre il nostro tasso di fecondità è intorno all’1,4”. In Ungheria l’inverno demografico è sulla bocca di tutti. Non solo per via delle conseguenze economiche e sociali che comporta, ma perché il governo lo ha reso un tema identitario, cuore della politica nazionale del primo ministro Viktor Orbán. Lo usa come spauracchio contro la presunta “invasione” dei migranti, per ribadire che se l’Europa invecchia bisogna puntare, non sull’accoglienza di giovani stranieri, ma sulla procreazione. Lo brandisce come un’arma per rivendicare l’affermazione della famiglia tradizionale e la bontà di politiche pro-nataliste che, di fatto, condannano le donne a una “doppia aspettativa: lavoro salariato e lavoro domestico di cura”, spiega Ivett Szalma, professoressa di ricerca presso l'ELTE Center for Social Sciences di Budapest e responsabile del gruppo di ricerca sulla sociologia riproduttiva "Momentum". Il risultato? Le misure adottate per stimolare la natalità in Ungheria sono escludenti e poco efficaci. Ma dall’alto valore simbolico. Perché sussidi, detrazioni, assegni non bastano? "Le nuove politiche introdotte dal 2010 non sono universali, non sono accessibili a tutti. Solo alcuni gruppi sociali possono accedervi", spiega Szalma. In primo luogo, c'è un assegno familiare di lunga data, il cui importo non è stato modificato dal 2008 e, come afferma l’esperta, "ha quindi perso gran parte del suo valore reale". L'assegno familiare è un sistema di credito d'imposta introdotto e ampliato dopo il 2010. Le famiglie con redditi più elevati ricevono maggiori aiuti, soprattutto se hanno tre o più figli. Più recentemente, sono state introdotte esenzioni dall'imposta sul reddito per le madri con almeno tre figli. Promosso poi nel 2019, il prestito per la gravidanza è uno degli ultimi generosi programmi di sostegno del governo, ma è soggetto a condizioni rigorose: è disponibile solo per coppie sposate eterosessuali e i beneficiari devono avere un impiego. Tra le persone escluse ci sono persone che vivono già in condizioni di marginalizzazione: madri single, coppie dello stesso sesso e persone in situazioni lavorative instabili. "La politica mira a trasformare la nostra società in un sistema in cui tutto dipende dal rapporto con il mercato del lavoro", osserva Szalma. "Se due famiglie hanno figli ma in una in genitori lavorano e nell’altra no, il figlio della seconda non riceve alcun sostegno. Questo è un problema, perché dovremmo sostenere tutti i bambini nati in Ungheria, non solo quelli di determinate famiglie". Il doppio carico delle donne unghersi E dire che a Budapest le preoccupazioni demografiche “hanno radici antiche”. “L'Ungheria è stata tra i primi Paesi al mondo, nel 1967, a introdurre un sistema di congedo parentale di 3 anni - spiega ancora Szalma - è uno dei più lunghi di tutti. Ma, anche se non era nelle intenzioni del regime socialista, è considerato un ostacolo per l’uguaglianza di genere perché è socialmente accettato che siano le donne a prenderselo. E per tutti quegli anni devi stare dietro al tuo bambino”. Alle donne ungheresi, infatti, è richiesto rispettare due ordini di norme: quelle del mercato e quelle della famiglia tradizionale. E le misure del leader di Fidesz hanno esasperato queste convenzioni. “Le donne che non sono nel mercato di lavoro, che non hanno un contratto di lavoro stabile, sono fuori da questo circuito - dice Szalma - proprio quelle che avrebbero più bisogno di quell’aiuto”. E, d’altra parte, resta in vigore la norma principe della famiglia tradizionale: il lavoro di cura in ambito domestico e di riproduzione è responsabilità delle donne. “Nel 2014 è stato introdotto un congedo parentale ‘extra’: se scegli di tornare al mercato lavoro puoi ancora ottenere i sussidi finanziari. Ma le mamme restano comunque a casa perché subiscono una sorta di ‘parental leave-shame’ , per cui la cultura ungherese si aspetta che tu rimanga a casa con i bambini. Non è la stessa cosa se restano a casa i padri”. I risultati rivendicati da Orbán Il numero di nascite in Ungheria è sceso a un livello record lo scorso anno. Secondo i dati pubblicati a inizio gennaio 2025 dall'ufficio statistico di Budapest, le nascite sono scese a 77.500 nel 2024, in calo del 9,1% rispetto all'anno precedente. Il tasso di fertilità è sceso per il terzo anno consecutivo al di sotto dell'1,4, rispetto alla media di 2,1, considerata il livello di sostituzione. E i primi dati per il 2025 non sono incoraggianti, secondo Szalma. Questo fa sorgere il dubbio sui risultati del generoso programma di sussidi. “Non credo che le politiche di Orbán siano efficaci”, afferma. Ma questo non spiega perché alcuni Paesi considerino esemplare il “modello Ungheria” per le politiche di natalità. “Nel 2010, durante il secondo governo di Orbán, il livello di fecondità era molto basso a causa della recessione economica del 2008 - spiega Szalma - Le prime politiche per la natalità sono state introdotte nel 2010. Così quando il tasso di fecondità ha iniziato a riprendersi è stato difficile capire se fosse per via delle misure introdotte oppure semplicemente perché l’economia si era ripresa e le persone sono tornate a realizzare i loro desideri di famiglia”. Il record di fecondità, invece, è stato raggiunto nel 2021, quando è arrivato a 1,6 . A quel punto gli sforzi del primo ministro per incentivare le presone a fare più figli sono stati encomiati da diversi Paesi europei e non solo, che hanno sperato che l’Ungheria avesse trovato la ricetta perfetta per combattere l’inverno demografico. Dopodiché, il numero di figli per donna è sceso di nuovo. E a poco sono valsi incentivi economici anche molto attraenti. “Era stato introdotto un ‘baby expecting loan’ di circa 40mila euro. Se le coppie, rigorosamente sposate, avevano un bambino entro 5 anni non dovevano pagare gli interessi. Dopo il terzo bambino invece non dovevano restituire niente”, dice l’esperta. “Siccome questa politica è dedicata alle persone sposate, quello che abbiamo registrato è stato un aumento nel numero dei matrimoni. Ma l’effetto della politica non è stato poi così prolungato: dopo il 2021 il tasso di fecondità è tornato a scendere e non è mai più migliorato. Probabilmente quella misura ha solo accelerato i tempi in cui, persone che già desideravano i bambini, hanno effettivamente deciso di concepirli”. Un modello non per tutti Se l’obiettivo fosse solo quello di strizzare l’occhio ai suoi sostenitori, dentro e fuori l’Ungheria, le politiche di Orbán avrebbero fatto centro. I rappresentanti dell’amministrazione Trump considerano “esemplare” il modello ungherese contro l’invecchiamento demografico, mentre per Giorgia Meloni l’Europa dovrebbe seguire il modello ungherese per stimolare la nascita di più bambini. Ma il paradigma pronatalista ungherese piace ai leader mondiali conservatori anche perché non incide realmente sugli ostacoli economici e sociali che impattano sulla scelta delle persone di avere bambini. Consente di mantenere il sistema così com’è e di lasciare intoccato anche il paradigma conservatore che vuole inalterati i rapporti tra i generi. “L’obiettivo della politica familiare ungherese è molto chiaro: è un obiettivo pronatalista, quindi aumentare il livello di fecondità. Punto”, sottolinea Szalma. “Ma in realtà le politiche famigliari possono avere altri obiettivi: ad esempio gli investimenti nell’educazione e nella sanità, visto che noi patiamo una grave carenza di insegnanti e medici. E anche questo può essere un ostacolo a fare bambini. Per non parlare del fatto che manca la volontà combattere la povertà infantile e di promuovere l’uguaglianza di genere”. Ma per agire su questi fronti, il governo di Fidesz dovrebbe fare ricorso a politiche che lo allontanerebbero dall’obiettivo simbolico di relizzare un’Ungheria con più bambini tutelando l’ideale di famiglia tradizionale. Per questo, la professoressa non è ottimista per il futuro: “Semplicemente, non sono quelli i loro obiettivi”.

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Agnese Ranaldi