Perché Trump punta sull’Australia per i materiali critici?

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro australiano Anthony Albanese hanno firmato alla Casa Bianca un accordo quadro per lo sviluppo congiunto di progetti legati ai minerali critici e alle terre rare, con un valore complessivo di circa 8,5 miliardi di dollari. "Tra circa un anno, avremo così tanti minerali critici e terre rare che non sapremo cosa farne,” ha detto Trump lunedì scorso in occasione della presentazione dell’intesa. “L’accordo sulle terre rare siglato tra Stati Uniti e Australia rappresenta un passaggio strategico nella costruzione di una filiera occidentale indipendente dai monopoli cinesi,” scrive Gianclaudio Torlizzi, Fondatore T-Commodity in una nota. Perché Washington punta sull’Australia? La scelta di Washington di rafforzare la cooperazione con Canberra nasce dalla necessità di ridurre la dipendenza dalla Cina, dopo la recente stretta sulle esportazioni di materiali critici e terre rare. La Cina controlla circa il 90% della capacità globale di raffinazione delle terre rare e oltre 70% della produzione mondiale. Secondo i dati del US Geological Survey tra il 2020 e il 2023, gli Stati Uniti hanno importato dalla Cina circa il 70% dei metalli e terre rare. Inoltre, l’Australia possiede il secondo maggior deposito mondiale di terre rare ed è il quarto produttore globale, con una produzione di circa 13.000 tonnellate di ossidi di terre rare nel 2024. Inoltre, è leader nella produzione di litio, essenziale per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici. Cosa prevede l’accordo? L’intesa prevede investimenti iniziali di oltre 3 miliardi di dollari nei prossimi sei mesi, che mira a generare valore economico per 53 miliardi di dollari. Uno degli elementi più concreti dell’intesa è la costruzione, in Australia Occidentale, di una raffineria avanzata di gallio con una capacità di produzione di 100 tonnellate metriche all’anno, finanziata direttamente dal Pentagono. Il gallio è un elemento fondamentale per la produzione di semiconduttori e tecnologie militari, e la sua raffinazione è attualmente dominata dalla Cina. Sono tre le principali attività previste dall’accordo: progetti congiunti USA-Australia per l’estrazione e la lavorazione dei minerali, investimenti statunitensi in Australia, inclusa la costruzione di impianti di raffinazione e collaborazioni con partner terzi, come il Giappone. La stretta cinese sull’export di materiali critici La Cina ha recentemente imposto restrizioni sull’export di materiali critici e terre rare, anche in forma di magneti contenenti tracce di materiali lavorati in Cina. Questa mossa ha avuto un impatto immediato sulle catene di fornitura globali e ha spinto gli Stati Uniti a minacciare dazi del 100% su beni cinesi. Tutti questi eventi avevano scatenato il panico sui mercati azionari e spinto l’oro, il bene rifugio di eccellenza a superare i 4,200 dollari l’oncia. “Dopo anni di dominio incontrastato, scrive Torlizzi, la Cina teme ora che il perimetro tecnologico del Dragone venga circondato da un’alleanza di produttori e consumatori consapevoli.” Le prospettive future L’accordo USA-Australia sulle terre rare è un passo fondamentale per riequilibrare il dominio cinese nel settore dei minerali critici. L’Australia si conferma un partner strategico per gli Stati Uniti, grazie alle sue risorse, competenze e stabilità politica. Se attuato con successo, questo patto potrebbe ridefinire gli equilibri globali nella produzione di tecnologie avanzate. “Non si tratta di geopolitica astratta, ma di sovranità industriale: chi controlla terre rare, magneti e metalli strategici, controlla anche la capacità di produrre turbine, chip e sistemi d’arma.” Spiega Gianclaudio Torlizzi, Ceo di T-Commodity. “Con questo accordo, Stati Uniti e Australia inviano un messaggio chiaro: la sicurezza economica è parte integrante della sicurezza nazionale, e l’era della dipendenza unilaterale da Pechino sta finendo.”

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Aleksandra Georgieva