Il fragile asse tra Usa e Russia: perché l'incontro Rubio-Lavrov è saltato

A Donald Trump piace raccontare se stesso come un grande solutore di conflitti. Ma la soluzione della guerra in Ucraina sembra continuare a sfuggirgli. Anzi, a quel che risulta dalle indiscrezioni delle ultime ore, sembra che persino l’organizzazione di un vertice con Vladimir Putin gli stia sfuggendo, dal momento che, come riporta CNN “l'atteso incontro tra Rubio e il suo omologo russo Sergey Lavrov è stato momentaneamente sospeso perché i due nutrivano aspettative divergenti sulla possibile fine dell'invasione russa dell'Ucraina”. I problemi alla base del fatto che di questa guerra nessuno sia ancora riuscito a venire a capo sono essenzialmente due: il primo è l’indisponibilità russa ad avviare qualunque contatto diretto con l’Ucraina, preferendo invece trattare con gli Stati Uniti. Il secondo è che, anche quando queste mediazioni avvengono le condizioni poste dalla Russia risultano inaccettabili. Ma sufficienti a far credere a Donald Trump che una strada ci sia. E che rifornire l’Ucraina di nuove e più efficaci armi potrebbe precluderla, anziché agevolarla. E così, da mesi, la situazione è in stallo: il Presidente degli Stati Uniti, perno della trattativa, è formalmente alleato e amico di Kiev. Ma lo è con sempre maggiore riluttanza, perché da un lato non comprende né condivide l’incaponirsi di Kiev a non voler cedere territori alla Russia, dall’altro, è umanamente vicino a Vladimir Putin. Sino ad ora, l’unico piano di pace che Putin si è detto disposto a sottoscrivere è quello che prevede la cessione alla Russia non solo delle aree conquistate militarmente, ma anche di un’area che è ancora sotto il controllo ucraino. Un’area non casuale, per ottenere la quale, si sarebbe detto persino disposto a liberare parti degli oblast' di Zaporizhia e Kherson. “La vera ragione dietro l'interesse di Putin nel conquistare l’intero Donbass - scrive il Kiev Indipendent - è probabilmente di natura militare e risiede nella cosiddetta "cintura delle fortezze" dell'Ucraina, un tratto di 50 chilometri di città pesantemente fortificate che va da Sloviansk e Kramatorsk a Druzhkivka e Kostiantynivka”. Ottenere il controllo di queste città per Putin sarebbe fondamentale perché equivarrebbe a ottenere, in cambio di un vago impegno di pace, quello che non è mai riuscito ad avere sul campo, ossia una strada aperta e non difesa verso Kiev. Di questo aveva già parlato l'Economist, all’indomani del vertice di Anchorage, scrivendo che “In cima alla lista della spesa di Vladimir Putin c'è la parte occidentale della provincia di Donetsk, che è ancora saldamente in mano ucraina. Una volta in mano russa, l'infrastruttura della cintura delle fortezze potrebbe di fatto essere rivolta contro l'Ucraina e utilizzata come rampa di lancio per ulteriori aggressioni”. Prendere queste città, e per di più senza conquistarle, potrebbe essere doppiamente utile a Putin, non solo dal punto di vista militare, ma anche politico, perché, secondo Economist, questa cessione creerebbe una frattura nell’opinione pubblica ucraina, rompendone la compattezza: “Per molti ucraini - scrive sempre l'Economist - rinunciare alla cintura di fortificazioni senza combattere equivarrebbe a capitolare e a tradire i sacrifici delle proprie forze armate. Pochi credono che la Russia rispetterà gli impegni presi per non continuare la guerra quando le converrà farlo. Né è probabile che le garanzie di sicurezza che dipendono dalla coerenza e dall'affidabilità di Trump vengano considerate una compensazione adeguata”. E quest’ultimo aspetto, l’affidabilità della garanzia di Trump, è quello che, in queste ore, sta tenendo su un filo le cancellerie di tutto l’occidente, soprattutto europee. Perché il punto, detto in termini molto brutali, è che né l’Ucraina né l’Europa si fidano fino in fondo di Donald Trump. Ma allo stesso tempo non hanno alternativa. Il presidente USA, in questo momento, è l’unico ad avere un canale diplomatico aperto con Vladimir Putin. E soprattutto è l’unico che, forte della deterrenza USA, potrebbe metterlo alle corde e costringerlo ad accettare un piano, per quanto incompleto e provvisorio. "Quello che dico - ha detto Trump parlando alla stampa domenica sera - è che dovrebbero fermarsi subito sulle linee di battaglia, tornare a casa, smettere di uccidere persone e farla finita. Potranno negoziare qualcosa più avanti”. Un piano che, se vedesse la luce, sarebbe per certi aspetti simile a quello proposto per Gaza, con l’obiettivo di far cessare i combattimenti e di rimandare a data da destinarsi la soluzione della guerra. Ma che potrebbe avere un percorso, se possibile, più accidentato. In primo luogo perché in Ucraina non c’è la sproporzione di forze che c’era tra Hamas e Israele; in secondo luogo perché il ruolo degli USA, nell’Est Europa, non è così determinante come lo è in Medioriente. Inoltre non sembra esserci la volontà diplomatica di portarlo avanti. E il fatto che l’incontro preliminare tra il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov sia saltato ancor prima di iniziare, lo dimostra: non c’è niente di cui parlare.

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Luciana Grosso