La vittoria di Rodrigo Paz Pereira segna il tramonto della sinistra in Bolivia

Rodrigo Paz Pereira non ha i modi del caudillo né del ribelle: è elegante senza ostentazione, non indossa i caratteristici abiti andini. Nessun richiamo all’identità india della nazione. Ma neanche indulge nei completi sartoriali e negli appelli al liberismo selvaggio che imperversa tra i vari leader emergenti latinoamericani, tra cui anche la nuova Nobel venezuelana, Maria Corina Machado. Un’affermazione netta del centro Quella di Paz è una vittoria che – per quanto chiara – è una sorta di cartina al tornasole della politica sudamericana, e non solo. Partiamo dal dato crudo: esponente del partito moderato Cristiano Democratico, ha ottenuto il 54,54% dei consensi, mentre Jorge Quiroga, candidato dell'alleanza di destra, Libertà e Democrazia, si è fermato al 45,46. Quindi un moderato che ha battuto un ultraconservatore. La sinistra non è nemmeno arrivata al ballottaggio, e molti elettori che un tempo sostenevano il MAS, il partito socialista, hanno optato per Paz e la sua ricetta di “capitalismo per tutti”. Quindi se si deve trovare una collocazione politica corretta è Quiroga, e non Paz, l’esponente politico boliviano più vicino a quell’ultraliberismo da movimento MAGA. Il supporto degli ultraconservatori Eppure, tra i primi a congratularsi con lui, c’è una lunga lista di politici di estrema destra. A partire dall’ineffabile presidente argentino, Javier Milei, si sono succeduti Santiago Peña, del Paraguay, José Raúl Mulino, di Panama, il presidente ad interim del Perù, José Jerí, e infine l’ecuadoriano, Daniel Noboa; tutti rigidamente conservatori. Unica voce dall’altro schieramento, quella del presidente cileno Gabriel Boric. A suggellare la “benedizione” della destra, gli auguri del segretario di Stato USA, Marco Rubio, che ha auspicato il ritorno della Bolivia nel consesso internazionale dopo 20 anni di socialismo. Il tramonto della sinistra E, in effetti, forse la notizia è proprio questa, che la sinistra, socialista, indigenista e terzomondista che ha guidato il Paese dall’ascesa dell’indio Hugo Morales è collassata; così come l’economia, che per un certo periodo è comunque riuscita a sanare le gravi diseguaglianze che affliggevano la Bolivia, con una classe dirigente “bianca” irraggiungibile dalla massa di indigeni, perlopiù campesinos e cocaleros. Quel sogno egalitario si è schiantato contro la micidiale combinazione del calo delle esportazioni del gas – di cui la Bolivia trae gran parte dei suoi proventi esteri – e una gestione caotica del COVID. Contro le faide interne al MAS, allo scontro tra Morales e il suo successore ed ex vice, Luis Arce. Un’inversione di rotta Tutto vero. La gestione carismatica del potere da parte di Morales, le lotte di potere, la crisi economica, hanno assestato un duro colpo al socialismo di stampo “indigenista”. La sensazione, però, è nella realtà si sia assistito a un segnale più preciso, e cioè più in generale l’entrata in crisi del movimento “rosa” che per più di 20 anni ha dominato incontrastato. Il nome probabilmente non era stato scelto a caso: “marea rosa”, non “onda”. E infatti, proprio come le maree, tra fine degli anni 90 e la metà dei secondi duemila il movimento di sinistra progressista latino ha avuto avanzamenti e arretramenti: basti pensare che nello stesso periodo hanno governato Hugo Chavez in Venezuela, Luis Inacio da Lula in Brasile, Michelle Bachelet in Cile, Rafael Correa in Ecuador, Daniel Ortega in Nicaragua, Pepe Mujica in Paraguay e appunto Evo Morales in Bolivia. Ma che nei successivi anni ha perso potenza e slancio. La Bolivia, guidata fino all’ultimo mandato da Luis Arce, costituiva un elemento di stabilità in un sistema continentale scricchiolante. Chi resta a sinistra Appunto, non si tratta di una disfatta complessiva, ma di un arretramento. Perché in effetti Lula è ritornato al potere dopo la prigionia, Claudia Scheinbaum guida il Messico dal 2024, Gabriel Boric il Cile dal 2022. Mandati solidi in Paesi che hanno un peso decisivo negli equilibri dell’area latino-americana. Resta però la sensazione che la marea stia arretrando: che insomma, dopo aver creduto di essere un continente, stia tornando a essere più un cortile per gli Stati Uniti. Nuove prospettive D’altronde, molte cose sono cambiate. All’epoca della “marea rosa” alla Casa Bianca c’erano Bush e Obama, e in fin dei conti la risorse naturali come il gas, hanno perso appeal. La Bolivia, insomma, era un po’ uscita dai radar, fin quando non si è scoperto il suo immenso potenziale per il litio, minerale fondamentale per l’high tech e le comunicazioni, che si trova nel leggendario altipiano del Salar de Uyuni. E così La Paz ha guadagnato di nuovo l’attenzione internazionale. E la sua scelta politica è precisa: le risorse devono essere gestite da un presidente moderato. La sinistra ha perso, insomma, ma l’ultradestra non ha vinto.

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Gianluca Ales