Cosa c’entra la FIFA con la pace a Gaza?

Solo un paio di settimane fa, il 2 ottobre, Gianni Infantino, il numero uno della FIFA, la Federazione Internazionale di Calcio, rispondeva a chi gli chiedeva di prendere posizione rispetto all'esclusione di Israele dai tornei internazionali, con toni vaghi, sostenendo che “alla FIFA non spetta la soluzione di problemi geopolitici”. Undici giorni dopo, il 13 ottobre, lo stesso presidente Infantino che non si voleva occupare di questioni geopolitiche, compariva al tavolo e nelle foto ufficiali del vertice di Sharm el Sheikh, che ha siglato l’intesa su Gaza proposta da Donald Trump alla presenza di leader e capi di stato internazionali. Una presenza che ha incuriosito molti osservatori, dal momento che Infantino non ricopre nessun ruolo né politico né diplomatico. Eppure, nessuno è rimasto davvero stupito. Da tempo, infatti, il numero uno della FIFA è quasi inseparabile da Donald Trump, che non di rado lo invita nel suo seguito, specie quando si tratta di questioni mediorientali. Per esempio, nel 2020, Infantino era presente alla firma degli Accordi di Abramo. In quell'occasione, e nella visita in Israele che ne era seguita, nel 2021, Infantino aveva anche ipotizzato che Israele potesse ospitare, prima o poi, un’edizione dei Mondiali, magari insieme ad altri Paesi della regione. L'incontro era stato anche al centro di un incidente diplomatico con la federcalcio palestinese che aveva rifiutato di incontrare Infantino dopo che questi aveva preso parte all'inaugurazione del Museo della tolleranza, costruito su un antico cimitero musulmano. Da allora, i rapporti tra la federcalcio palestinese e la federazione mondiale non si sono mai del tutto ripresi. Anzi. Si sono fatti sempre più tesi alla luce del fatto che né la Fifa né la Uefa hanno mai sanzionato in nessun modo Israele, né per la guerra, né per la presenza nel suo campionato di squadre che arrivano da insediamenti illegali in Cisgiordania. Una situazione, dunque, più delicata della media delle questioni calcistiche ma che non spiega la presenza di Infantino al vertice di Sharm. Il numero uno della Fifa ha dichiarato che la sua presenza lì era giustificata dal fatto che il calcio deve “sostenere, unire, dare speranza alla regione”. Vero. Però il calcio è anche un enorme motore di denaro. Non di rado denaro che arriva dal Golfo, visto il recente interesse per il pallone da parte dei Paesi Arabi e visto il fatto che oltre che amico personale di Donald Trump, Infantino è anche in ottimi rapporti con il principe saudita Mohammed bin Salman. Per questo, oltre che di calcio come veicolo di valori positivi, Infantino ha parlato anche di calcio come veicolo di investimenti e ricostruzione. "A Gaza, in Palestina, - ha detto - contribuiremo naturalmente a ricostruire tutti gli impianti calcistici. Contribuiremo a riportare il calcio – insieme alla Federcalcio palestinese – in ogni angolo del Paese. Porteremo palloni, costruiremo campi, porteremo istruttori, aiuteremo a organizzare competizioni, lanceremo un fondo per contribuire alla ricostruzione delle infrastrutture calcistiche in Palestina". Un progetto che “porterà opportunità ai bambini di Gaza” come ha sottolineato il presidente della Fifa. Ma che ricorda anche quella ‘Riviera’ vagheggiata da Trump e il gigantesco business che si prevede sarà la ricostruzione della Striscia . E che potrebbe partire proprio dalla ricostruzione degli stadi e degli impianti sportivi, da sempre veicolo di consenso. Nel maggio del 2024 il britannico The Guardian ha pubblicato un articolo nel quale tirava le fila di come e quanto questa guerra avesse colpito il mondo dello sport palestinese. "Secondo la Palestine Football Association – sosteneva - più di 243 atleti sono stati uccisi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Di questi, 161 sono calciatori, di cui 43 bambini. La PFA sostiene inoltre che le forze israeliane hanno ucciso 11 atleti in Cisgiordania". Una strage che non riguarda solo il calcio, ma anche altri sport, come il karate, la cui atleta Nagham Abu-Samra, 27 anni, è stata uccisa prima di poter disputare la qualificazione alle Olimpiadi di Parigi. "Non molto tempo fa – prosegue il Guardian - a Gaza c'erano 10 stadi dove, nei pomeriggi del fine settimana, gli abitanti si riunivano per tifare per le loro squadre d'infanzia. Lo sport, in particolare il calcio, era una rara via di fuga e sfogo per la maggior parte dei palestinesi della Striscia, sotto un severo blocco imposto da oltre 16 anni”. E dunque forse, è così che si spiega la presenza di Infantino a Sharm: come spia di una visione occidentale che guarda già alla ricostruzione. Una ricostruzione per cui servono i cittadini palestinesi e i fondi degli stati del Golfo. E, forse, per assicurarsi entrambe le cose, il calcio può essere un buon viatico.

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Luciana Grosso