Con l'accordo Israele-Hamas quale destino per Marwan Barghouti?

Marwan Barghouti è un leader palestinese prigioniero dal 2002 delle carceri israeliane, accusato di aver organizzato, nel periodo della Seconda Intifada, almeno cinque attentati contro obiettivi israeliani. Da quelle accuse, Barghouti non si è mai voluto difendere, perché si è sempre rifiutato di riconoscere l’autorità del tribunale israeliano che lo stava processando. Da allora non solo è prigioniero, ma è diventato una figura centrale di ogni trattativa tra Israele e Hamas. Ogni volta che si parla di una liberazione di prigionieri palestinesi, il suo nome è in cima alla lista. E ogni volta, Israele, pur liberando centinaia di detenuti, rifiuta di liberare lui. E anche questa volta, sta andando in scena lo stesso copione: Hamas ha chiesto la sua liberazione, Israele la ha esclusa. Trattativa difficile Per capire perché tanta parte di una trattativa così delicata e difficile come è quella tra Israele e Hamas passi per il nome e il destino di un solo uomo, occorre sapere chi è e qual è la sua storia e il suo ruolo. C ‘è chi si riferisce a lui come il Mandela Palestinese. Chi, come Economist, lo ha definito ‘il detenuto più importante del mondo’ dicendo, già subito dopo il 7 ottobre ‘che la sua liberazione avrebbe potuto cambiare gli equilibri del conflitto'. Chi è Al Barghouti ha oggi 66 anni e praticamente nessuno ha più idea di che aspetto abbia e di che uomo sia diventato. Eppure, nonostante questo, o forse proprio per questo, la sua figura è diventata un simbolo in cui i Palestinesi ripongono tutte le loro speranze di un reale futuro di pace, e la destra israeliana ripone le sue paure di un’infinita intifada e di una Palestina forte e credibile nel suo chiedere uno stato autonomo. Nato nel 1959 in Cisgiordania, Barghouti, ha iniziato ad occuparsi di politica da ragazzo, quando era studente all’università di Birzeit e militava nelle fila di Fatah. Durante la prima intifada è stato coinvolto in alcuni scontri, cosa che gli costò l’esilio in Giordania fino al 1993, quando gli fu consentito di rientrare in Cisgiordania ed essere eletto nel Consiglio Legislativo Palestinese. Durante la seconda intifada, nei primi anni 2000, le cose presero a complicarsi e si presume abbia preso parte agli attacchi per i quali è oggi in carcere. Nel frattempo però Barghouti è diventato una specie di leggenda. "Né terrorista, né pacifista" Ritenuto di fatto l’unico leader in grado di parlare con Israele, perché apprezzato anche da alcune figure di spicco di tel Avive, e ritenuto un latore credibile e concreto dell’ipotesi dei due stati è diventato, forse suo malgrado, l’unico leader in grado di disegnare una possibile unità politica dei palestinesi, da tempo lacerati dalla divisione in fazioni tra Hamas e i più moderati Fatah. L’unico leader capace di incarnare un concreto progetto di convivenza tra palestinesi e israeliani, senza però cedere rispetto alla violenza di Israele e alle annessioni illegali. “Non un terrorista, ma nemmeno un pacifista”, come ha detto lui stesso. Eppure, proprio il suo poter essere leader credibile e unificante dei palestinesi stremati tanto dalla guerra quanto dalle lotte interne che li lacerano da più di vent’anni, divisi tra Fatah che governa la Cisgiordania e Hamas che ha imposto la dittatura a Gaza, proprio il suo poter essere punto di sintesi e veicolo di pace, il suo essere leader allo stesso tempo concreto ma non disposto a compromessi, rende la sua liberazione tanto difficile e cruciale: la destra israeliana l’ha esclusa nel modo più assoluto, Hamas la pretende. Un radicalismo di posizioni che, forse, è la maggiore tesi a sostegno del valore reale della figura di Barghouti. E a cui si aggiunge anche una certa freddezza da parte di Fatah stessa, che teme che la sua liberazione possa ulteriormente indebolire la credibilità della voce più moderata, ma anche più debole e silente, della causa palestinese, ossia quella dell’ormai senescente e sostanzialmente irrilevante Abu Mazen. Un sondaggio del marzo 2024 mostra, se ci fosse un’ipotetica elezione tra i Palestinesi, tanto nella Striscia di Gaza quanto in Cisgiordania, il nome di Barghouti sarebbe di gran lunga il più votato, più dei suoi principali rivali messi assieme. E questo per paradosso rende la sua liberazione così discussa. Perché potrebbe dare ai palestinesi quello che non hanno più dai tempi di Arafat: una voce sola, rispettata e credibile.

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Luciana Grosso