L’intelligenza artificiale può diventare un’arma geopolitica?

Non è più un’ipotesi da ascrivere alla letteratura fantascientifica, ma una realtà che si fa strada nella cronaca internazionale. L’ultimo caso viene da Israele, in una delle manifestazioni più emblematiche dei rischi che le nuove tecnologie portano con sé. Secondo un report del think tank Quincy Institute for Responsible Statecraft, Israele avrebbe stanziato milioni di dollari per “allenare” ChatGPT affinché generi contenuti più favorevoli al governo di Benjamin Netanyahu. Questo episodio, in cui il potere politico cerca il tramite dei servizi di un’azienda specializzata per dominare il panorama della tecnologia, non è un’anomalia: rientra in una tendenza sempre più affermata, che vede gli Stati provare a imbrigliare le potenzialità narrativo-cognitive delle IA per il loro tornaconto. Il meccanismo di disinformatja su cui Israele avrebbe puntato è relativamente semplice: attraverso l’azienda statunitense Clock Tower X, con cui il governo di Gerusalemme avrebbe chiuso un contratto da circa 6 milioni di dollari, gli israeliani hanno cercato di influenzare il funzionamento dei modelli linguistici generativi come ChatGPT, con un occhio di riguardo verso un target principale: gli appartenenti alla Generazione Z. Secondo i termini del patto siglato fra i due contraenti, almeno l’80 % dei contenuti prodotti dall’azienda avrebbero dovuto essere«“rivolti a giovani utenti su TikTok, Instagram, YouTube, podcast e altri media digitali», con l’obiettivo di produrre decine di milioni di visualizzazioni al mese. L’obiettivo di questa particolare strategia è inserirsi nel training signal usato da modelli linguistici come quelli di OpenAI: maggiore è la quantità di contenuti favorevoli che circolano online , maggiore sarà la probabilità che l’IA risponda in modo allineato a quel corpus di dati. In altre parole, Israele ha cercato di condizionare la memoria collettiva della rete, di modo che l’IA, nella sua interazione quotidiana con utenti in carne e ossa, potesse riprodurre prospettive che privilegiano gli interessi nazionali del governo israeliano. Oltre alle fonti giornalistiche, a corroborare queste rivelazioni sono anche trascorsi recenti nel rapporto fra Israele e intelligenze artificiali. Già in primavera il magazine +972 aveva reso noto che l’Unità 8200 – la direzione di intelligence cibernetica israeliana – ha sviluppato internamente un modello simile a ChatGPT usando dati intercettati su larga scala nei territori palestinesi per massimizzare la sorveglianza politica ai danni dei suoi cittadini. L’IA diventa, in questo senso, un campo di battaglia reputazionale. E se finora il dibattito mainstream sulle intelligenze artificiali si è concentrato su discussioni tecniche o anche etiche , sarebbe invece urgente accorgersi che strumenti come ChatGPT ridefiniscono anzitutto il nostro rapporto con la verità. In un contesto segnato dalla polarizzazione, chi porta più potere computazionale, dati e capacità di diffusione può dominare l’orizzonte del discorso pubblico. Il caso di Israele è emblematico, si diceva: non tutti gli Stati hanno capacità altrettanto sviluppate di accesso e condizionamento dei modelli IA, ovviamente; ma quelli che ce li hanno detengono un vantaggio competitivo esponenziale, che non è più limitato al solo progresso tecnologico. Tutto questo rinsalda le disuguaglianze, anzitutto economiche, tra potenze dell’influenza digitale e attori periferici, costretti a diventare meri oggetti delle dinamiche di influenza. In scenari dove la democrazia è sotto attacco, l’IA non si limita generare contenuti: può integrarsi con sistemi di monitoraggio, profilazione e microtargeting, mettendo in atto una convergenza tra potere cognitivo e potere coercitivo. Un rapporto del Parlamento europeo sull’IA sottolinea come l’intelligenza artificiale possa amplificare pratiche liberticide rendendo la disinformazione più veloce, la censura più efficace e il controllo più onnipresente. Le piattaforme principali del settore si sono dotate di linee guida e sistemi di moderazione, e la stessa OpenAI ha dichiarato di aver individuato e sventato minacce provenienti da campagne di influenza legate a vari Stati: ma sarà abbastanza per fermare l’ondata di piena? La corsa è appena iniziata: Israele non è né il primo né l’unico Paese a cercare di piegare l’IA alla propria strategia di dominio. In contesti differenti per latitudine e cultura – dalla Russia alla Cina, passando per attori nel mondo arabo o in Africa – si moltiplicano le iniziative di content farming pro-governativo, network di bot e campagne di intelligenza artificiale mirate, radicate nei gangli delle piattaforme. L’investimento israeliano su ChatGPT è solo la punta dell’iceberg di una nuova era di guerra del sapere: l’IA non è più uno strumento tecnologico, ma assurge al rango di infrastruttura di potere. Chi controlla i modelli e plasma i dati può modellare le percezioni del mondo, dominando la geopolitica dell’attenzione e l’orizzonte del senso comune.

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L’intelligenza artificiale può diventare un’arma geopolitica?

Davide Piacenza