Un numero record di membri del Congresso USA non si ricandiderà

Nei giorni scorsi NPR ha messo in luce un fenomeno senza precedenti: in vista delle elezioni di metà mandato del 2026, un numero record di parlamentari statunitensi ha deciso di non ricandidarsi per la stessa carica che ricopre attualmente. Al momento, si tratta di 10 senatori e 28 deputati. Tra questi, 15 lasceranno del tutto la vita politica, mentre gli altri puntano a nuove cariche: 12 intendono correre come governatori, 10 deputati mirano a un seggio al Senato, e un caso particolare, quello del texano repubblicano Chip Roy, riguarda la candidatura a procuratore generale del suo Stato. Una scelta che riguarda i repubblicani più che i democratici La sproporzione è netta: molti più parlamentari repubblicani che democratici hanno deciso di non ricandidarsi. Per i democratici, in diversi casi si tratta di un passaggio di consegne, con figure di lungo corso come Dick Durbin, Jeanne Shaheen, Jan Schakowsky, Dwight Evans e Danny Davis che hanno scelto di farsi da parte per lasciare spazio alla nuova generazione. Sul fronte repubblicano, invece, spiccano le uscite di esponenti di peso che hanno avuto attriti con il presidente Trump e il suo crescente autoritarismo, come i senatori Mitch McConnell, Thom Tillis e Joni Ernst, oltre al deputato Don Bacon. Ambizioni da governatore Ma il cambio generazionale e i disaccordi con Trump non sono gli unici motivi di abbandono. Ciò che colpisce, infatti, è anche l’insolita tendenza di alcuni senatori a voler lasciare Washington per candidarsi come governatori nei rispettivi Stati. È il caso, ad esempio, dei senatori Tommy Tuberville dell’Alabama, Marsha Blackburn del Tennessee e Michael Bennet del Colorado. Tradizionalmente avveniva il contrario, ovvero i governatori puntavano al Senato in quanto lo consideravano uno scatto di carriera. Un congresso paralizzato Secondo NPR, questa inversione di tendenza è dovuta principalmente alla paralisi del Congresso, che non permette più di fare la differenza e mettersi in mostra come un tempo. A causa della forte polarizzazione politica, infatti, sono sempre meno i parlamentari che lavorano con la fazione avversaria per il passaggio di leggi di rilievo che poi saranno associate anche al loro nome. Oggi le leggi più importanti – come l’One Big Beautiful Bill di Trump – sono imposte dalla Casa Bianca, che sempre più spesso mette in atto la propria agenda anche in maniera diretta attraverso gli ordini esecutivi. Ciò rende ancor più difficile distinguersi, soprattutto per i parlamentari repubblicani. Una vetrina migliore I dati mostrano inoltre che, negli ultimi decenni, i senatori che hanno tentato la via dei governatorati hanno avuto maggiore successo rispetto ai governatori candidati al Senato. Secondo un’indagine di Ballotpedia, negli ultimi quarant’anni anni 10 su 14 senatori in carica o ex senatori hanno vinto le elezioni per la carica di governatore, rispetto ai 27 dei 56 governatori che si sono candidati al Senato. Inoltre, dopo la pandemia di Covid-19 – durante la quale gli Stati avevano molto potere di azione in tema di misure restrittive – la figura del governatore ha acquisito maggiore visibilità nazionale, diventando un trampolino politico più efficace di un tempo. Basti pensare che uno dei principali sfidanti di Trump alle primarie repubblicane del 2024 è stato il governatore della Florida Ron De Santis, mentre il candidato vicepresidente scelto da Kamala Harris il governatore del Minnesota Tim Walz. L’attrattiva del ruolo di governatore emerge anche guardando alla Camera dei Rappresentanti: otto deputati che hanno annunciato di non volersi ricandidare per la stessa carica che ricoprivano mirano a diventare governatori, dieci puntano al Senato. Alcuni casi degni di nota includono i deputati repubblicani della Georgia, Buddy Carter e Mike Collins, che intendono sfidare il senatore democratico uscente Jon Ossoff, oppure il repubblicano dell’Alabama Barry Moore, che mira al seggio lasciato libero da Tuberville.

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Gianluca De Feo