Al-Sharaa debutta all’Onu, primo presidente siriano a farlo dopo 60 anni

Nelle ultime ore, all’Assemblea Generale dell’ONU, è successa una cosa che, fino a pochi mesi fa, sarebbe sembrata impensabile: un ex jihadista di Al Qaeda è stato accolto tra applausi e benevolenza. Si tratta di Ahmed al-Sharaa, l’uomo che dismessi gli abiti da guerrigliero oggi guida la Siria. Lo scorso dicembre, con una rivoluzione lampo di appena una settimana, al-Sharaa è riuscito nell’operazione impensabile fino a quel momento di liberare il Paese dal regime decennale di Bashar Al-Assad, tra i più sanguinari e repressivi della Regione, costringendo il dittatore a lasciare in fretta e furia il Paese per trovare rifugio in Russia. Al momento della sua improvvisa comparsa sulla scena internazionale, al-Sharaa era ancora noto con lo pseudonimo di guerra di Al Jolani e arrivava dall’esperienza di governo della provincia ribelle di Idlib, nel nord della Siria. Il suo ingresso nella capitale Damasco, era stato accolto con un misto di diffidenza e speranza: diffidenza, perché di lui si sapeva poco o niente se non che, appunto, era stato parte di Al Qaeda; speranza perché da subito al-Sharaa aveva preso a rassicurare tutti gli osservatori internazionali, dicendo di voler rendere la Siria un Paese stabile, democratico e finalmente pacificato con i suoi vicini, a partire da Israele. Oggi, a meno di un anno dal cambio di regime, la situazione in Siria è probabilmente migliorata, ma appare ben lungi dall’essere pacificata. Secondo il New York Times che ha dedicato un approfondimento alla Siria “i nuovi leader siriani hanno adottato misure per allontanare il Paese dalla dittatura, con l'intenzione di riformare i sistemi carcerari e di sicurezza fondamentali per il governo basato sulla paura del vecchio regime di Assad”. Ma negli ultimi mesi, la gestione delle ondate di violenza settaria, la mancanza di inclusività e la concentrazione del potere nelle mani di pochi hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che il paese rimanga radicato nell'autoritarismo. Ahmed al-Shara, secondo il quotidiano Usa “sta concentrando il potere nelle sue mani e in quelle di un piccolo gruppo di lealisti, tra cui i suoi fratelli”. A complicare le cose, il fatto che diversi episodi di violenza nei confronti di minoranze, Alawiti e Drusi, hanno offerto a Israele il pretesto per intervenire negli affari del paese. Tel Aviv ha bombardato la provincia di Suwayda, alimentando le tensioni nei confronti del nuovo governo siriano. Nelle prime ore della rivoluzione dello scorso dicembre, le forze armate di Israele avevano preso il controllo delle alture del Golan, un’area cuscinetto al confine tra i due paesi di cui Israele aveva già annesso negli anni ’80 un’ampia porzione. Anche per quel che riguarda il percorso verso la piena democrazia del Paese, promessa da al-Sharaa al momento del suo insediamento, la strada appare ancora lunga. Per l’inizio di ottobre sono previste le elezioni, ma - con grande disappunto degli osservatori più fiduciosi- non saranno elezioni nel vero senso del termine, perché non coinvolgeranno direttamente i cittadini: un terzo dei 210 deputati sarà selezionato direttamente dal presidente e i restanti due terzi da comitati elettorali la cui formazione è stata decisa da al Sharaa stesso. Per questo il giudizio sul nuovo governo siriano appare ancora sospeso. E per questo per al-Sharaa l’intervento all’ONU era un appuntamento cruciale: il riconoscimento internazionale è un elemento chiave per la sua legittimazione nella regione e in patria. Il fatto di essere stato accolto dall’Assemblea e soprattutto dai rappresentanti americani vale come consacrazione e attestazione di riconoscimento. Riconoscimento e legittimità che potranno avere la loro manifestazione più evidente nella sospensione delle sanzioni internazionali ma che, con ogni probabilità, dipendono dal fatto che più volte al-Sharaa ha ribadito di avere intenzione di normalizzare i rapporti tra Siria e Israele.

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Luciana Grosso