Scandalo Predator, c’è un caso ‘watergate’ in Grecia?

In queste ore la Grecia è scossa da uno scandalo le cui proporzioni sono molto più grandi e gravi della Grecia stessa: è infatti iniziato il processo a due cittadini greci e due israeliani accusati di aver spiato, con il software spia Predator, 87 cittadini greci, tra cui ministri, deputati dell’opposizione e giornalisti. Al di là di quello che stabilirà il processo e al di là della gravità dell'episodio, quello che più interessa l’opinione pubblica, tanto greca quanto europea è altro: capire se e come l’esecutivo greco sia coinvolto in questa vicenda e se e come l’uso di software spia in Europa sia pratica più diffusa di quel che le norme consentono o dovrebbero consentire. Questo perché se la risposta è affermativa e se il governo greco ha in qualche modo avallato o promosso lo spionaggio di cittadini greci che non risultavano sotto inchiesta o sospettati di nulla, allora vuol dire che ha abusato di strumenti di intelligence per spiare cittadini comuni e oppositori politici: una fattispecie piuttosto grave. Se invece la risposta dovesse essere negativa e se davvero, come sostiene il premier Kyriakos Mitsotakis, la cui versione dei fatti è stata confermata da un’indagine della Corte suprema greca, il governo non c’entra niente, allora questo potrebbe significare che i software spia, che in teoria dovrebbero essere a disposizione solo delle agenzie di intelligence e che dovrebbero poter essere usati in pochi e gravi casi, allora sono su piazza, disponibili per tutti, si tratti di criminali o di agenti stranieri. Così anche se, con il passare del tempo l’eco dello scandalo si è attutito e non sono emerse prove concrete del coinvolgimento effettivo dell’esecutivo greco in attività di spionaggio, restano sospetti e paura che nemmeno il rapporto della Corte Suprema è riuscita a sedare, riuscendo semmai ad accrescerli. Sospetti e paura che, tra l'altro, non riguardano la sola Grecia, ma l’Europa intera. Questo perché i casi di spionaggio ai danni di cittadini comuni si sono verificati, negli anni, in vari Paesi comw Spagna, Ungheria, Polonia, Italia e perché non sembra che la Commissione Europea abbia mai preso sul serio la cosa. Anzi. Nonostante nel 2023, a seguito dello scandalo greco e di un altro scandalo, Pegasus, il Parlamento Europeo abbia istituito una commissione di inchiesta dedicata, la commissione PEGA, e nonostante le conclusioni della commissione fossero piuttosto gravi, da allora la Commissione Europea ha fatto poco o nulla per dare seguito alle raccomandazioni ricevute dall’indagine PEGA. Nel dettaglio la commissione PEGA giunse alla conclusione che “Sebbene non sia confermato ufficialmente, possiamo tranquillamente presumere che tutti gli Stati membri dell'UE abbiano acquistato uno o più prodotti spyware commerciali. Una sola azienda, NSO Group, ha venduto i suoi prodotti a ventidue utenti finali in non meno di quattordici Stati membri, tra cui Polonia, Ungheria, Spagna, Paesi Bassi e Belgio. In almeno quattro Stati membri, Polonia, Ungheria, Grecia e Spagna, si è verificato un uso illegittimo di spyware e vi sono sospetti sul suo utilizzo a Cipro”. Alcuni mesi dopo, un’altra commissione parlamentare, la PEGA 2, arrivò a stilare una serie di raccomandazioni che rendessero più trasparente e sicuro l’uso di questi strumenti, chiedendo standard a livello UE per l'uso dello spyware da parte delle forze dell'ordine. Da allora, l’unica azione concreta messa in atto dalla Commissione Europea è stata quella di generiche linee guida che nei fatti hanno chiarito poco e poco nel dettaglio che cosa si può o non si può fare con questi strumenti. Non solo: come sostiene Politico esiste un altro elemento da tenere in considerazione: l'ambiente del mercato unico europeo sembra essere particolarmente adatto allo sviluppo e alla vendita di questi prodotti. Avere sede nell'UE offre numerosi vantaggi. Non solo conferisce ai prodotti un marchio di legittimità, ma il mercato unico garantisce anche un facile accesso ai clienti di tutta l'Unione. Inoltre, la mancanza di normative comuni consente alle aziende di scegliere il contesto giuridico più permissivo. “La mancanza di norme su chi può utilizzare lo spyware e come, significa anche che una serie di governi, hanno accesso ad alcune delle tecnologie di sorveglianza più invasive disponibili” scrive il quotidiano online. Per questo quindi il punto del processo in corso in Grecia riguarda solo in parte gli imputati alla sbarra. Con loro, in quel tribunale, siede una parte consistente della normativa europea. Per ironia della sorte, proprio la parte di normativa europea che non c’è.

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Luciana Grosso