Case distrutte, niente cure: l'Afghanistan e la crisi del post sisma

Strade bloccate, villaggi in macerie, servizi igienici assenti. La regione orientale dell'Afghanistan, devastata da un violento terremoto di magnitudo 6.0 lo scorso 31 agosto, sta affrontando una delle crisi più pesanti. Centinaia di migliaia di persone che vivevano nelle province di Badakhshan, Nangarhar, Kunar e Nuristan, le più colpite dal sisma, adesso sono senza una casa. Costrette a vivere in aree rurali limitrofe senza acqua potabile, senza un riparo adeguato, senza accesso ai servizi sanitari. Secondo un recente rapporto della World Health Organization, il rischio di contrarre malattie e infezioni, in un contesto in cui le condizioni igieniche risultano estremamente scarse, è altissimo. “La situazione è molto tragica”, ha raccontato a Sky Tg24 Insider Dejan Panic, direttore del programma di Emergency in Afghanistan. “Sono passati più di 20 giorni e la condizione della popolazione è quella che possiamo immaginare, dopo una catastrofe naturale di tale portata. Alcuni sopravvissuti ora vivono nei campi per sfollati, altri sono stati ospitati nelle case dei loro familiari”, spiega Panic. L'impatto del sisma è stato devastante, non solo per i villaggi, gli edifici, le strade, i campi, il bestiame. “Queste persone hanno subito un gravissimo trauma dal punto di vista psicologico”, spiega ancora l'operatore di Emergency. “Immaginate di perdere in un attimo tutta la vostra famiglia, i vostri figli, vostra madre, vostro padre, i vostri fratelli, i vostri zii. Chi è sopravvissuto dice che avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a vivere senza i propri cari accanto. La vita di queste persone non sarà mai più la stessa”, ha sottolineato Panic. Qual è la situazione nelle province orientali dell'Afghanistan dopo 20 giorni dal terremoto? Il sisma è stato distruttivo. Ci sono state scosse di assestamento e molte case sono state danneggiate. L'impatto più grave è stato registrato a Kunar e nelle province di Nangarhar, Laghman e Nurestan. Ma il sisma lo abbiamo sentito anche qui, a Kabul. Ora la situazione è stabile, ma il problema è: che cosa facciamo adesso? In un Paese post-bellico, dove il sistema sanitario è fragile e la situazione economica è molto incerta, il sostentamento delle persone ora si fa davvero complesso. Soprattutto con l'avvicinarsi dell'inverno si avvicina, la situazione è molto vicina al tragico. Le strutture sanitarie sono state distrutte. L'Oms poi riferisce che ci sono 12.000 donne incinte che si trovano ancora nelle zone colpite dal terremoto: senza una casa, senza un riparo e senza strutture sanitarie che possano curarle... Come potranno ricevere assistenza, quindi? Le domande sono tante: dove partoriranno? In che modo gli operatori sanitari potranno aiutrarle? E, soprattutto, dove sono i medici che possono intervenire in caso di complicazioni? Emergency gestisce a questo proposito un centro specializzato nella provincia del Panjshir e fortunatamente diversi Stati potranno fornire un certo livello di assistenza. Ma non sarà assolutamente sufficiente, perché stiamo parlando di una zona molto vasta e molto inaccessibile. L'Afghanistan orientale, in particolare la provincia di Kunar, è una zona montuosa e boschiva dove l'inverno è molto rigido. La popolazione avrà bisogno di riparo, acqua, servizi igienici e, naturalmente, protezione. Ci sono tantissime famiglie devastate che hanno perso tutti i loro cari, bambini rimasti orfani a causa delle frane e del crollo dei villaggi. La situazione è molto, molto tragica. Anche gli ospedali sono al collasso, a causa dall'elevato numero di feriti. Qual è la situazione delle strutture sanitarie nella regione? A causa delle gravi ferite riportate, la maggior parte delle persone ha bisogno di specifici interventi chirurgici che non possono essere eseguiti in Afghanistan. Questo obbliga molti pazienti a cercare cure all'estero, per avere una possibilità di sopravvivenza. È una grande tragedia, e c'è un grande bisogno di creare strutture sanitarie funzionali, non solo provvisorie. Bisogna rimuovere le macerie, fornire una soluzione sostenibile a lungo termine a una popolazione che sta soffrendo molto. Per quanto riguarda gli ospedali, nello specifico, ci sono 20 strutture sanitarie che sono state totalmente o parzialmente danneggiate. Ogni provincia dell'Afghanistan, ad esempio Kunar o Asadabad, ha un ospedale provinciale. Ma ognuna di queste strutture ha una capacità limitata. Se si tratta di interventi complessi, si può ricevere assistenza nell'ospedale regionale di Jalalabad. Ma se questa struttura non riesce ad assistere determinati pazienti in condizioni molto gravi, allora bisogna recarsi a Kabul, che dista circa tre ore e mezzo di auto da Jalalabad. Insomma, il sistema sanitario è stato gravemente compromesso nella provincia di Kunar. Quali ostacoli voi operatori umanitari siete costretti ad affrontare nelle operazioni di soccorso? Il primo problema riguarda l'accessibilità. Trattandosi di zone montuose, risulta molto difficile rimuovere le macerie e, al momento, i soccorritori stanno cercando di liberare le strade per consentire il passaggio degli aiuti umanitari. Poi, c'è il problema legato al recupero delle vittime rimaste intrappolate sotto le macerie. E ancora, le problematiche legate alla vita di tutti i giorni. Chi aiuterà queste persone a ricostruire la propria quotidianità? Tra i sopravvissuti, alcuni hanno riportato gravi ferite e adesso paraplegici. In una zona altamente montuosa, come può questa gente spostarsi o svolgere le normali attività quotidiane? Sono tutte sfide che vanno ad aggiungersi alle regole e ai divieti già presenti nel Paese. Fortunatamente ci sono numerose ong e l'agenzia delle Nazioni Unite che stanno fornendo più aiuti possibili. Cosa succede invece alle donne che non possono, per ragioni culturali, essere visitate e curate dai medici uomini? È risaputo che in Afghanistan alcune specializzazioni mediche sono riservate agli uomini, ma questo non significa che le donne non possano ricevere cure in caso di emergenza. In alcune regioni afghane, queste specializzazioni semplicemente non sono disponibili. Quindi, anche se i pazienti – che si tratti di uomini o di donne – hanno bisogno di cure, non possono essere assistiti perché di fatto non esistono medici in grado di aiutarli. Nelle zone rurali il problema è esacerbato: determinate tipologie di medici specialisti non esistono in specifiche regioni dell'Afghanistan, quindi nessuno può ricevere assistenza. Né gli uomini né le donne. Quali sono le condizioni in cui adesso vive la popolazione afghana dei villaggi? Nella regione di Kunar le persone adesso vivono in rifugi improvvisati. Ci sono organizzazioni che forniscono riparo, acqua e servizi igienici alle decine di migliaia di persone colpite. In generale, l'Afghanistan è un Paese che affronta una grave crisi economica. La zona colpita dal terremoto in particolare è una zona montuosa e boschiva, con alcuni terreni. Le persone colpite dal sisma vivevano di agricoltura e, ora che la regione è stata distrutta e il bestiame è stato ucciso dalle frane, è molto difficile per questa gente trovare una soluzione sostenibile a lungo termine. Intere famiglie sono state spazzate via in un istante dal terremoto. Ricordiamoci sempre che gli afghani vivono in comunità: sotto lo stesso tetto possono vivere anche 20 o 30 persone. Come stanno i sopravvissuti? È una situazione terribile. Ho incontrato alcune persone sopravvissute al terremoto: non riescono a smettere di piangere, sono in lacrime. Ci hanno raccontato di aver perso sette, otto, dieci membri della propria famiglia. Uno dei bambini che abbiamo assistito ha perso i genitori, a soli due anni. È qualcosa di devastante, brutale, devastante. Un sopravvissuto ci ha detto: “Non ho bisogno di soldi, non ho bisogno di una casa. Ho perso tutti quelli che amavo e preferirei essere morto piuttosto che continuare a vivere in questa sofferenza”. La vita di queste persone non sarà mai più la stessa. La loro vita è stata distrutta in un battito di ciglia.

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Silvia Donnini