Francia, piazze in fermento e politica bloccata: la tempesta perfetta

È davvero un settembre strano quello della Francia. E non solo per la anomala ondata di calore che ha colpito il Paese, con temperature fino ai 35 gradi. A rendere decisamente atipico questo principio di autunno è la situazione di grande incertezza e instabilità che ha travolto il Paese nelle ultime settimane, anche se forse sarebbe più corretto dire anni. La Francia è di fatto senza un governo e senza una maggioranza parlamentare in grado di esprimerne uno. E per di più si trova in questa situazione nel momento in cui i suoi conti pubblici appaiono completamente sfasciati: il rapporto deficit/PIL è al 5,8%, il doppio di quello previsto dai parametri UE e il debito pubblico è il terzo maggiore d’Europa. In tutto questo, lo scorso 8 settembre l’esecutivo centrista guidato da Francois Bayrou è caduto, e il nuovo primo ministro incaricato Sebastien Lecornu non è ancora riuscito a mettere insieme una compagine che gli consenta di creare un nuovo esecutivo. Le trattative vanno avanti da giorni, ma non sembra stiano facendo grandi progressi. Al momento infatti Lecornu può contare solo sull’appoggio del cosiddetto ‘zoccolo duro’, ossia i liberali di Renaissance, MoDem e Horizons, e i gollisti Républicains. Un po’ poco per mettere insieme un governo stabile, seppure di minoranza. La speranza di Lecornu era quella di convincere i socialisti a salire a bordo ma, almeno sino ad ora, non sembra che il tentativo sia riuscito. La trattativa con i socialisti resta comunque aperta, anche se i socialisti hanno messo bene in chiaro quale sarebbe il prezzo del loro appoggio: la sconfessione di due capisaldi della politica macroniana degli ultimi anni, ossia la politica fiscale lassista e la riforma delle pensioni. Due bocconi molto amari soprattutto il secondo, per la compagine del presidente. Eppure le alternative non paiono molte. Non lo sono perché la crescente impopolarità del presidente si sta trasformando in un problema istituzionale, come se Macron stesse trascinando già con sé l’intera credibilità dell’Eliseo e delle istituzioni francesi. Il successo delle recenti manifestazioni e scioperi lo hanno testimoniato una volta di più. Inoltre, a rendere sempre più urgente la nascita di un governo, quale che sia ci sono due elementi: il primo è che il tempo a disposizione di Lecornu è sempre meno: il 15 ottobre la Francia dovrà presentare alla Commissione Europea la sua nuova legge di Bilancio. Una legge che al momento non esiste e che, come è facile prevedere, sarà impopolare e avrà una gestazione parlamentare piuttosto complessa. Il secondo elemento che rende urgente la nascita del nuovo governo è che l’incarico a Lecornu rappresenta l’ultima chiamata prima della convocazione di nuove elezioni. Elezioni che, con ogni probabilità, sarebbero vinte dall’estrema destra anti UE di Marine Le Pen e Jordan Bardella, cosa che porterebbe sconquasso in tutta Europa. Elezioni che però, va detto, l’elettorato chiede a gran voce, ritenendo che il Presidente abbia perso del tutto il contatto con gli elettori e che l’attuale parlamento sia paralizzato. Elezioni il cui unico ostacolo, per ora, è la nascita di un nuovo esecutivo che tranquillizzerebbe l’Eliseo e Bruxelles, ma che probabilmente darebbe ulteriore fuoco alle polveri della rabbia sociale, specie se non dovesse fare quello che, oggettivamente, non è in grado di fare, cioè aumentare la spesa pubblica. Intanto, comunque, per avere un saggio della temperatura politica francese, si può guardare a quello che succederà domenica nella seconda circoscrizione di Parigi, dove si voterà per un giro di elezioni suppletive. La seconda circoscrizione di Parigi è quella che comprende la zona che tendiamo a identificare come ‘rive gauche’: Saint Germain, Saint Michel, Odéon. Lì, in genere hanno sempre vinto i gollisti o al massimo i macroniani. A questo giro, però, non corre nessun candidato di area macroniana e, inoltre, il candidato gaullista è molto forte: l’ex premier Michel Barnier. Insomma tutto concorre a che, nel primo test elettorale dopo la caduta di Bayrou, queste elezioni rafforzino la compagine che, in teoria, dovrebbe costituire l’ossatura del governo Lecornu. Ma se così non dovesse essere, se a vincere quel singolo seggio dovessero essere i socialisti o il candidato lepenista, il segnale sarebbe molto chiaro. Troppo per essere ignorato.

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Luciana Grosso