Sanzioni Ue a Israele: più un segnale politico che una vera arma

Dopo due anni di guerra la Commissione Europea si è decisa a dire qualcosa che mostri concretamente condanna verso le azioni di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Ieri, infatti, per la prima volta l’esecutivo comunitario ha proposto una serie di misure sanzionatorie volte a fare pressione su Israele affinché cessi le violenze sui civili gazawi. Una serie di misure che - ci ha tenuto a chiarire molto bene l’Alta Rappresentante Kaja Kallas - ‘non vogliono in nessun modo punire Israele’. Semmai spingerlo a chiudere la guerra. L’impresa non appare semplice. Sia perché il governo di Netanyahu pare, da mesi, del tutto disinteressato alla ricerca di un accordo o di una tregua, sia perché le misure disposte dalla Commissione appaiano decisamente sdentate. In primo luogo perché la portata delle sanzioni decise dalla Commissione è molto limitata: congelamento di circa 20 milioni di fondi previsti per Israele, imposizione di dazi commerciali su circa 6 miliardi di merci e misure restrittive su due dei ministri più estremisti del governo Netanyahu . In secondo luogo perché l’unica di queste tre linee di azione che la Commissione ha il potere di tradurre immediatamente in realtà è la prima, ossia quella del congelamento dei fondi. Si tratta di circa 6 milioni di euro all'anno tra il 2025 e il 2027 e di finanziamenti vari per altri circa 14 milioni di euro. Per il resto, i poteri della Commissione sono estremamente limitati e non possono andare oltre la ‘proposta’. Una proposta che può essere accolta o respinta dal Consiglio Europeo. Nel dettaglio il Consiglio dovrà decidere in due modi diversi su eventuali dazi e su sanzioni individuali ai ministri di Israele. Nel caso delle sanzioni individuali, è necessaria l’unanimità e la circostanza ad oggi appare impossibile. Nel caso dei dazi, invece, è sufficiente la maggioranza qualificata, ossia il sì del 55% dei Paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione. E su questo secondo fronte qualcosa potrebbe muoversi visto che nell’asse dei Paesi pro Israele si avverte qualche primo scricchiolio. Certo anche se l’opzione dei dazi imposti alle merci in arrivo da Israele passasse, la sua magnitudo sarebbe limitata: colpirebbe solo meno della metà delle merci che Israele vende all’UE, cioè solo prodotti agricoli, perché la parte restante , ricadrebbe sotto il cappello protettivo del WTO. La terza ragione che rende molto dubbia l’efficacia delle sanzioni è il fatto che anche nel mostrare il suo volto più duro nei confronti di Israele, l’UE appare divisa. Infatti la decisione della Commissione di agire contro Israele ha trovato forti critiche sia dalla destra dei Popolari, che contesta lo spostamento di Von der Leyen troppo al fianco dei gazawi, sia dalla sinistra dei Socialisti, che ha accusato la Commissione di aver fatto troppo poco e troppo tardi. Detto questo, e constatata per l’ennesima volta la lentezza e timidezza di azione dell’UE, sarebbe un errore pensare che le sanzioni proposte dalla Commissione siano di scarso valore. Pur con tutte le timidezze del caso, di valore ne hanno, eccome. Per esempio, segnano la prima presa di posizione da parte di una grande potenza contro Israele, Paese considerato da sempre nell’alveo dei Paesi democratici e occidentali. Più volte l’UE ha mostrato la sua vicinanza a Tel Aviv e Tel Aviv è la città in cui, all’indomani del 7 ottobre, Ursula Von der Leyen si è recata a mostrare solidarietà e sostegno. Il fatto che, oggi, la stessa Ursula Von der Leyen, dopo aver usato parole di grandissimo sdegno nei confronti delle azioni di Israele , abbia deciso di avviare un piano di sanzioni ha un grande peso politico. Indica un allentamento dei legami di amicizia tra UE e Israele ed è segnale del fatto che la misura è colma. Il fatto che questo segnale arrivi da un Paese amico, lo rende ancor più esplicito. E questo segnale, pur nella sua probabile inefficacia, rimane e rimarrà, qualunque strada prenda il percorso di approvazione delle sanzioni. Certo, sullo sfondo resta la sproporzione tra un pacchetto di sanzioni e ritorsioni economiche che assomigliano più a una tirata d’orecchie, e la situazione parossistica della Guerra nella Striscia. E soprattutto resta sullo sfondo la spoporzione tra le sanzioni proposte e le pressioni dell’opinione pubblica europea. Quest’ultimo, forse, è il nervo più scoperto dell’intera faccenda: un sondaggio di YouGov della scorsa primavera ha mostrato come, in linea di massima, l’opinione pubblica europea, nel corso degli ultimi mesi si sia spostata da un sostanziale sostegno a Israele a un sostanziale sostegno ai civili di Gaza. E, ad oggi, né la Commissione, né il parlamento, né il consiglio sono in grado di dare voce a questo posizionamento degli europei. Solo la scorsa settimana, il Parlamento, balcanizzato com’è, è riuscito per la prima volta a votare una mozione di condanna delle violenze perpetrate nella Striscia . E solo ieri ci è riuscita la Commissione, proponendo un pacchetto di sanzioni molto blando. Difficilmente ci riuscirà il Consiglio, che con la sua paralisi costante ed estenuante, forse, riuscirà nella doppia impresa di salvare Israele e di condannare l’UE a essere ricordata come un gigante paralizzato.

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Sanzioni Ue a Israele: più un segnale politico che una vera arma

Luciana Grosso