Perché la crisi della Francia spaventa l'Europa

La Francia è il grande malato d’Europa? Probabilmente sì. I dati sul debito pubblico, sulla sua sostenibilità, sui tassi di interesse, altissimi, dei titoli di Stato parlano chiaro e, anzi, dicono che a meno di un’azione politica forte, incisiva e radicale, probabilmente la sua situazione si aggraverà ulteriormente. E verosimilmente questo accadrà, dal momento che la politica francese appare più debole, balbettante e divisa che mai. Un governo di minoranza debole La situazione è questa: il governo di Francois Bayrou, in carica da meno di un anno, è di fatto un governo di minoranza: si regge su una serie di equilibri mobili il cui perno è costituito dai liberali del Ensemble di Emmanuel Macron, da Horizon del centrista e dai moderati di centrodestra dei Repubblicani. A questo perno, di volta in volta, e solo dopo estenuanti liti, discussioni e trattative, si uniscono a turno altri partiti, dalla sinistra dei Socialisti all’estrema destra di Rassemblement National, che consentono al governo di portare a casa qualche risultato. Una situazione di così esasperante instabilità che il premier Bayrou, ha annunciato pochi giorni fa che prima di avviare la discussione in merito alla prossima legge di bilancio, andrà in aula a chiedere la fiducia, per sapere se potrà o meno contare sull’appoggio del parlamento. La risposta, con ogni probabilità, sarà no. Tutti i partiti che, alternativamente, si sono avvicinati al nucleo centrista che appoggia il governo, hanno già fatto sapere che voteranno no, e che lasceranno cadere il governo. Una mossa che se è elettoralmente comprensibile non potrà che rivelarsi controproducente per il Paese, perché dopo la caduta di Bayrou, gli enormi problemi del bilancio francese saranno ancora lì. Anzi, saranno peggiorati, perché è noto a tutti che l’instabilità politica non giova alle finanze degli Stati. Il rischio di nuove elezioni Se dunque, come sembra, il prossimo 8 settembre – data del voto di fiducia – il governo dovese cadere, le strade che si apriranno dinnanzi alla Francia saranno due: una, improbabile, di creazione di una nuova maggioranza e di un nuovo esecutivo; l’altra, assai più probabile, di scioglimento delle camere e indizione di nuove elezioni. Elezioni il cui esito appare in parte già scritto. I sondaggi infatti, assegnano una larga vittoria all’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen, avviato a raccogliere più del 31% dei voti. A cui si sommerebbe il circa 5% della compagine ancor più estrema di Reconquete. La sinistra, in ogni sua conformazione, sembra destinata a fermarsi più giù e soprattutto ben lontana dell’exploit registrato nel 2024, quando si presentò unita sotto il nome di Front Populaire. Secondo le rilevazioni di Le Figaro, se i progressisti dovessero presentarsi uniti raccoglierebbero il 23% dei consensi; se invece dovessero correre divisi questo risultato verrebbe diviso tra un 16% destinato alla compagine socialisti/ecologisti/comunisti e un 10% per Melenchon. Malissimo andrebbe il centro macroniano, che non supererebbe il 10%. L'Europa preoccupata Uno scenario a cui l’Europa guarda con preoccupazione: se le previsioni dovessero essere confermate, infatti, la governance francese si farebbe assai complicata. Internamente infatti, il Paese si troverebbe guidato da un presidente in abissale crisi di popolarità e, per di più, costretto alla cohabitation con un esponente del partito che da sempre gli si oppone, il Rassemblement National, oltre che assediato da richieste sempre più insistenti di dimissioni. A livello europeo poi, l’Unione si troverebbe con uno dei suoi Paesi più influenti e importanti guidato da un gruppo sovranista e anti-Ue e con una delle voci più autorevoli del Consiglio delegittimata e indebolita. A quel punto anche l’ipotesi che nel 2027 la presidenza francese possa essere vinta da un estremista anti Ue si farebbe decisamente concreta. A meno che, e questo potrebbe essere un vero colpo di scena, il prossimo vincitore delle elezioni legislative non si trovi a dover gestire una situazione così grave, e a dover prendere decisioni così impopolari, da stroncarne ogni velleità presidenziale.

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Luciana Grosso