Midterm Usa, se si votasse oggi la Camera andrebbe ai democratici. I sondaggi

Ormai da parecchie settimane i sondaggi mostrano che Trump è in difficoltà su più fronti: il giudizio degli americani sulla sua gestione dell’inflazione è fortemente negativo, così come quello relativo ai dazi. Anche l’indice di approvazione generale dell’operato della sua amministrazione, secondo i principali aggregatori di sondaggi, continua a scendere. Secondo l’Economist, oggi solo il 41% degli americani approva l’operato di Trump, mentre il 56% lo giudica negativamente, per un saldo di -15 punti. Si tratta di livelli di insoddisfazione record, paragonabili a quelli raggiunti nello stesso periodo del suo primo mandato. La media dei sondaggi del New York Times riporta un dato meno negativo, ma resta nettamente sfavorevole: -9 punti, con il 53% di giudizi negativi contro il 44% di positivi. Anche le medie dei sondaggi indipendenti curate da Nate Silver – noto sondaggista statunitense e fondatore di FiveThirtyEight – e da George Elliott Morris – già direttore editoriale della stessa testata – confermano questo andamento. Silver stima un tasso di approvazione simile a quello del New York Times, pari a -8,3 punti , mentre Morris è più severo: -11,7 . Entrambi gli analisti registrano tassi di approvazione negativi per quanto riguarda la gestione di tutti i principali ambiti di azione: immigrazione , economia , commercio e soprattutto inflazione . E se si votasse oggi? In vista delle elezioni di midterm del 2026, che rinnoveranno l’intera Camera dei Rappresentanti e un terzo del Senato, Elliott Morris ha lanciato anche una media dei sondaggi sul Congresso. Alla Camera dei Rappresentanti i democratici risultano attualmente in leggero vantaggio: tra tutti i distretti in palio otterrebbero in media il 45,4% delle preferenze contro il 41,9% dei Repubblicani, pari a +3,5 punti. Rispetto all’inizio dell’anno, i Repubblicani hanno perso circa 7 punti, mentre i Democratici ne hanno guadagnati 2. Per ottenere la maggioranza alla Camera, secondo i calcoli di Morris i democratici dovrebbero conquistare almeno 2,5 punti di vantaggio su base nazionale. Questo margine, però, potrebbe cambiare entro novembre 2026 a causa della “battaglia del gerrymandering”: in Texas i repubblicani hanno ridisegnato i confini di alcuni distretti congressuali in modo da avvantaggiare il loro partito, mentre in California i democratici hanno approvato una legge che potrebbe produrre effetti simili. Al senato, invece, anche un vantaggio nazionale di 3 punti difficilmente sarebbe sufficiente per ottenere la maggioranza: i democratici dovrebbero strappare seggi in stati solidamente repubblicani come Florida, Iowa o Texas – oltre a quelli del Maine e della North Carolina – un obiettivo poco realistico persino con un margine di 5-6 punti a livello nazionale. Vantaggio fragile Un elemento non trascurabile per i democratici, tuttavia, è la crisi di popolarità che sta attraversando il partito, che potrebbe ostacolare la conquista di nuovi consensi. Un sondaggio del Wall Street Journal a fine luglio ha fatto scattare l’allarme: il 63% degli elettori ha un’opinione sfavorevole del partito e solo il 33% favorevole, per un saldo di -30 punti, il peggiore degli ultimi 35 anni. Questo colloca i Dem 19 punti sotto i repubblicani, anch’esso un record in negativo. Tuttavia, altre rilevazioni sono meno drastiche: la media dei sondaggi li vede “solo” 10 punti indietro e lo stesso WSJ registra i democratici avanti di 3 punti nel voto per il Congresso. L’impopolarità dei Dem deriva dunque soprattutto dall’insoddisfazione interna e dall’idea che siano meno capaci dei repubblicani nella gestione delle principali questioni. Lo spostamento verso sinistra sembra quindi fragile e legato più al malcontento nei confronti di Trump che a un vero entusiasmo per i democratici. I dati ci mostrano che gli elettori democratici, pur non avendo una buona opinione del partito, continuano però a votarlo: ciò significa che la crisi di immagine potrebbe non tradursi necessariamente in un tracollo elettorale. Inoltre, gli indipendenti – spesso decisivi – tendono a giudicare il Partito Democratico meglio di quello repubblicano, offrendogli un ulteriore margine potenziale in termini di voti.

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Gianluca De Feo