Il fronte dimenticato: come lo scontro Israele-Houthi sta rimodellando il Medioriente

Avete presente le torri di Jenga? Quelle fatte di parallelepipedi di legno che si tengono l’uno in equilibrio con l’altro? In quelle torri è sufficiente sfilare un solo pezzo di legno perché tutto, all’improvviso, crolli. E il Medio Oriente del post 7 ottobre assomiglia molto a una torre di Jenga: come se quell’atroce attentato di Hamas a Israele, e l’altrettanto atroce e cieca risposta israeliana, avessero fatto crollare tutto. Certo, quella zona del mondo non è mai stata davvero in equilibrio. Anzi: era in completo disequilibrio. Eppure, si teneva in piedi. Come se le ingiustizie e le violenze che si accumulavano da decenni si compensassero e reggessero l’una con l’altra. Poi, però, il 7 ottobre ha tolto il pezzetto di legno sbagliato e tutto è venuto giù all’improvviso dando la stura a una violenza nuova e a nuove e impreviste guerre che hanno preso a moltiplicarsi su fronti diversi. Non solo quello, feroce, di Gaza, ma anche a quello tra Israele e Hezbollah, in Libano, o quella pericolosissima tra Israele e Iran, fino a quella, difficilmente comprensibile, tra Israele e Siria, Paese che si sta riaffacciando al mondo dopo una dittatura cinquantennale e una guerra civile lunga più di dieci anni. A questo elenco di guerre e scontri occorre aggiungere anche il fronte yemenita, quello su cui combattono Israele e le milizie Houthi. Gli Houthi sono il gruppo di milizie jihadiste che controlla gran parte dello Yemen e che da circa 10 anni è coinvolto in una guerra civile con il governo legittimo del Paese. La guerra civile yemenita, sin dall’inizio, riguarda anche attori esterni al conflitto vero e proprio: Paesi come l’Arabia Saudita e Iran . La ragione per cui la guerra civile in un Paese poverissimo come lo Yemen riguarda anche Paesi ricchi e lontani, ha a che fare soprattutto con una questione: lo stretto di Bab el-Mandeb, ossia il gomito di mare tra Yemen e Gibuti che separa il Golfo Persico dal Mar Rosso. Come è evidente dalla geografia, quel gomito di mare, di fatto controllato dai ribelli Houthi, non è un punto qualunque della Terra, ma uno dei più strategici e delicati: di fatto tutte le navi, siano esse navi merci cinesi o petroliere in partenza dai Paesi arabi, che transitano tra l’Oriente e l’Occidente e che si dirigono verso Suez, devono passare da lì, da un imbuto largo non più di 40 chilometri, le cui coste sono in parte presidiate da un gruppo di miliziani jihadisti. Come se tutto questo non fosse sufficiente a rendere la guerra in Yemen uno snodo particolarmente nevralgico nello scacchiere internazionale, nelle settimane successive al 7 ottobre gli Houthi hanno deciso di prendere parte attivamente alla guerra tra Israele e Hamas. Fin dal primo istante gli Houthi hanno preso ad attaccare le navi commerciali dei Paesi alleati di Israele, come quelle dei Paesi Europei, degli Stati Uniti o del Regno Unito. Poi hanno cominciato ad attaccare direttamente lo stato israeliano, con il lancio di droni e missili. Se da un lato la risposta internazionale agli attacchi alle navi commerciali occidentali è stata più frastagliata , quella militare di Israele è stata più netta. A ogni azione ostile Houthi è, infatti, corrisposta una reazione, molto più forte, da parte degli israeliani, un rimpallo che va avanti da mesi e di cui, nemmeno in questo caso, si vede la fine. Solo nelle ultime ore si è verificato l’ennesimo botta e risposta tra le due forze armate: venerdì gli Houti hanno lanciato missili e bombe a grappolo alla volta dell’area di Ginaton, in Israele; domenica Tel Aviv ha risposto, colpendo la capitale yemenita, Sana’a, controllata dagli Houthi, e danneggiando due centrali elettriche, un deposito di carburante e un complesso di edifici militari vicino al palazzo presidenziale. La situazione particolare dello Yemen rende difficile immaginare come questo conflitto tra Israele e Houti possa trovare conclusione in tempi rapidi. La strada diplomatica è sbarrata dal fatto che alle forze Houti non corrisponde nessun apparato amministrativo legittimo. La strada militare, dalla strategicità dello stretto di Bab el-Mandeb, di fatto, e almeno in questa fase, l’assicurazione sulla vita degli Houti.

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Luciana Grosso