C'è qualcosa che non va, a Las Vegas

La città più “incasinata” d’America, il grande circo, il luna park dei peccati, la giostra che non si ferma mai sta vivendo l’estate più desolata della sua storia: casinò e alberghi mezzi vuoti, negozi nei quali si sente l’eco, i gondolieri del Venetian che cantano ‘Funiculì Funiculà’ per il piacere di appena una manciata di turisti confusi e la fontana del Bellagio che fa i suoi giochi d’acqua solo per il piacere dei guardiani e dei giardinieri. Insomma, Las Vegas è in crisi. Secondo i numeri diffusi dalla Las Vegas Convention and Visitors Authority il volume di visitatori in città è diminuito dell'11,3% rispetto all'anno precedente e il numero totale di visitatori, nel periodo estivo, è diminuito del 7,3% rispetto alla prima metà del 2025. Il che non sarebbe chissà quale emorragia, non fosse che si è verificata nei mesi estivi, ossia quelli durante i quali i numeri dovrebbero crescere, non diminuire. E invece i numeri sono in calo. I timori che non si tratti di una crisi passeggera, invece, sono in aumento. Ma perché? Che cosa sta succedendo a Las Vegas? Come mai la città del vizio e del turismo americano è diventata il teatro della declinazione americana della italianissima ‘crisi dell’ombrellone’? Perché, in anni di vertiginosa ripresa del turismo, proprio la città che per il turismo è nata, è entrata in crisi? La risposta non è chiara, ma tormenta le notti dei molti lavoratori della sua grande macchina: croupier, direttori d’albergo, bartender così come camerieri, giardinieri, inservienti e autisti. Un piccolo esercito di circa 150mila persone che, ogni giorno, olia una delle macchine più complicate d’America: una strada sola sulla quale però si affacciano più di cinquanta casinò, 90 mila stanze d’albergo, e circa 3000 tra bar e ristoranti, per non parlare di negozi e centri commerciali, il tutto per un giro d’affari complessivo che supera i 55 miliardi di dollari l’anno. Tutto questo, nelle ultime settimane, sembra essersi inceppato e nessuno ha ben chiaro il perché. Alla crisi di Las Vegas ha dedicato un ampio articolo il settimanale Time che prova a fare ordine sia tra le cause di questa crisi, sia tra i suoi effetti. Le cause, come dicevamo, non sono chiare, ma ci sono quattro grandi indiziati: il primo è l’inflazione, che ha alzato i prezzi di voli e camere d’albergo, trasformando Vegas da meta sostanzialmente abbordabile in una specie di lusso; non solo, ma i rincari generalizzati, anche su merci che con Las Vegas non hanno niente a che fare, hanno ridotto i fondi a disposizione degli americani per viaggi, turismo e, soprattutto, per mattane al casinò. Il secondo indiziato nella causa delle possibili cause è il tipo stesso di turismo proposto da Vegas: mordi e fuggi, dispendioso e di appena un paio di giorni, che potrebbe aver esaurito la sua vena, e lasciato il passo verso altro tipo di viaggi ed esperienze. Una terza ipotesi sul tavolo riguarda il fatto che gran parte degli arrivi a Las Vegas sono di turisti del Sud California, un’area che negli ultimi mesi si è fatta particolarmente parsimoniosa e cauta con le spese, dal momento che si tratta di una zona di grandi imprenditori e imprese che, per ovvie ragioni, temono moltissimo gli effetti dei dazi e delle politiche commerciali trumpiane. E che dunque avrebbe congelato spese e svaghi in attesa di capire come le politiche daziarie influiranno sui loro redditi. Infine, c’è una questione che riguarda il complesso del turismo americano che ha visto una flessione complessiva degli arrivi dei visitatori internazionali. Time cita un rapporto del World Travel and Tourism Council che analizza i dati relativi ai visitatori di 184 Paesi e che prevede che gli Stati Uniti perderanno 12,5 miliardi di dollari di introiti da turismo internazionale entro la fine dell’anno, con un calo di visitatori di oltre il 22% sull’anno precedente. A questo punto, però, esaurita, peraltro a tentoni, la parte relativa alle cause della crisi di Las Vegas, Time passa a occuparsi dei suoi effetti: effetti che, a differenza delle cause, sono chiari come il sole e si traducono in copiosi licenziamenti dei lavoratori stagionali o riduzioni degli orari di lavoro e soprattutto, per chi il lavoro ce l’ha, in riduzione del reddito che, per buona parte, dipende dalle mance, che evidentemente, non ci sono. Assodate le cause e gli effetti della crisi, occorre però pensare alle soluzioni. E rispetto a questo Time si ferma. Perché al momento non è chiaro come Las Vegas potrebbe uscire dal limbo in cui è finita. Né se i cali di queste settimane siano effetto di una crisi passeggera o sistemica. Quel che appare chiaro, però, è che le soluzioni potranno essere nelle forze di Vegas solo nel caso in cui anche le cause della crisi lo fossero. Se, come sembra, le persone hanno espunto Las Vegas dai loro viaggi per ragioni che travalicano Las Vegas, come il ridotto potere d’acquisto o una certa ritrosia dei turisti internazionali a recarsi negli Stati Uniti, allora non si capisce come la sola Las Vegas possa risolvere un problema tanto più grande di lei.

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C'è qualcosa che non va, a Las Vegas

Luciana Grosso