A 4 anni dal ritiro Usa, alle donne in Afghanistan è stato tolto tutto

Sono passati quattro anni dal surreale Ferragosto del 2021 all’aeroporto di Kabul, quello nel quale guardavamo, impotenti e attoniti, migliaia di civili afghani sventolare i loro passaporti, aggrappandovisi quasi, nella speranza disperata di poter essere fatti salire su un aereo che li portasse lontani dal loro Paese senza futuro. Nelle stesse ore, intanto, i notiziari, oltre alle immagini disperate dell’aeroporto, mandavano anche altre immagini surreali: quelle dei talebani che rientravano, senza colpo ferire, a Kabul e che si riprendevano indisturbati la città da cui erano stati cacciati: giravano indisturbati brandendo le armi di fattura americana che gli statunitensi avevano lasciato alle loro spalle, quasi per terra. Si riprendevano caserme, case, ospedali, armi e giocavano persino, straniti e stupiti, con le giostre e l’autoscontro, traccia della permanenza americana nel loro Paese. Tutto questo succedeva davanti a un mondo attonito e incredulo nell’estate di quattro anni fa. E su tutto questo, da allora, è calato il silenzio più buio. Come se la fine della missione americana in Afghanistan fosse stata una specie di giallo dell’estate, una cosa che ci ha appassionato fino a che eravamo sotto l’ombrellone e in ferie, ma che poi è svanita, come i tormentoni musicali e le riviste di enigmistica, non appena si torna alla vita di sempre. Eppure, quella storia, tanto appassionante quanto dimenticata, è una metafora efficacissima della politica degli ultimi decenni. Perché contiene in sé strascichi della guerra fredda , quando il mondo globalizzato illuse gli Stati Uniti del fatto che la storia fosse finita e che da quel momento in poi il mondo si sarebbe autoperpetuato in un eterno presente; contiene il terrore dei primi anni del 2000, quando il terrorismo tolse aria e vita alle persone; contiene la miopia degli Usa del XXI secolo, convinti che il fatto di essere i più armati di tutti desse loro qualche specie di lasciapassare per il mondo; contiene il presente di oggi, con degli Stati Uniti in evidente ritirata, dall’Afghanistan ma non solo e un Medio Oriente che presenta il conto dell’indifferenza nella quale è stato abbandonato negli ultimi cinquant’anni. Ma la storia dell’Afghanistan ha la sua forza e la sua drammaticità nel non essere solo una storia, ma nel fatto di essere il completo opposto di una storia. Nel fatto di essere presente. Di srotolarsi nell’oggi: perché con la fuga degli americani da Kabul la storia dell’Afghanistan non è finita. Anzi, è andata avanti, solo lo ha fatto lontano da telecamere, social, giornali e organizzazioni non governative. Lo ha fatto avviluppandosi in una dittatura oscurantista e sanguinaria, che non riconosce nessun diritto di esistenza né a chi le si oppone né, soprattutto, alle donne, cui dopo vent’anni di simil-democrazia sotto l’egida degli Stati Uniti, è stato tolto di nuovo tutto: il diritto di studiare, di lavorare, di scegliere un compagno, e persino di parlare se fuori casa. Una dittatura che, con il suo solo esistere, sbugiarda due decenni di promesse fatte dagli americani agli afghani quando, nel 2001, promisero democrazia e libertà. Non solo quella promessa non era vera, ma al massimo provvisoria, ma non lo erano neppure quelle successive. Non era vero che gli Stati Uniti avrebbero garantito sicurezza a tutti i cittadini che avevano lavorato con loro negli anni di occupazione, dal momento che molti di loro sono stati lasciati a terra, perfino molti di quelli che erano riusciti a raggiungere gli Stati Uniti potrebbero essere rispediti a casa nei prossimi mesi dall’amministrazione Trump E non era vero nemmeno quello che aveva detto Joe Biden nel discorso fatto dalla Casa Bianca la sera del 16 di agosto, quando prese la parola per dire qualcosa alle opinioni pubbliche occidentali sgomente dalle immagini che arrivavano dall’aeroporto di Kabul. Quella sera Biden promise che, anche dopo essersene andati, gli Stati Uniti avrebbero vigilato affinché il regime dei talebani non violasse i diritti umani dei suoi cittadini. Nemmeno quella promessa è stata mantenuta. Oggi i diritti umani semplicemente non esistono. Ed è cosa risaputa e pacificamente accettata. Sia da chi si gira ogni giorno dall’altra parte, sia da chi aveva promesso di non girarsi mai, ma si gira lo stesso.

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Luciana Grosso