Cos'è il gerrymandering e come influenzerà le elezioni midterm negli Usa

A fine luglio i parlamentari statali repubblicani del Texas hanno presentato una nuova mappa elettorale, che mira a garantire al GOP fino a cinque seggi aggiuntivi alla Camera dei Rappresentanti alle prossime elezioni di metà mandato del 2026. Il piano, sostenuto da Trump, se approvato ridisegnerebbe tre collegi nell’area di Houston, Dallas e San Antonio e altri due vicino al confine con il Messico, spostando aree oggi a maggioranza democratica in distretti a solida maggioranza repubblicana. Il principio è quello del gerrymandering, una pratica in uso da un paio di secoli negli Stati Uniti che consiste nel ridisegnare i collegi elettorali manipolandone i confini per ridurre il peso degli avversari e rafforzare i propri seggi. Nel caso del Texas, l'obbiettivo dei repubblicani è quello di rendere i nuovi distretti non più competitivi, ma roccaforti quasi inattaccabili. Infatti, con la nuova mappa non ci sarebbero più seggi contendibili con meno di 10 punti percentuali di margine tra i due partiti, stando ai risultati del 2024. Pochi giorni dopo la proposta dei repubblicani, oltre 50 parlamentari statali democratici hanno abbandonato lo stato in modo da far mancare il numero legale per poter approvare la legge. È però notizia di questi giorni che i deputati stanno già rientrando, dunque un voto potrebbe essere imminente e – vista la schiacciante maggioranza repubblicana – il passaggio della riforma inevitabile. Cosa succederà alle elezioni di midterm del 2026? All’inizio di questa legislatura molti analisti davano quasi per scontato che a novembre dell’anno prossimo i democratici sarebbero riusciti a riprendersi la Camera dei Rappresentanti. Il partito che perde la Casa Bianca, infatti, di solito ottiene buoni risultati alle elezioni di metà mandato, e al prossimo giro ai democratici basterebbe vincere solo tre seggi in più, dato che attualmente la maggioranza dei repubblicani ammonta a 219 seggi contro i 212 dei Dem. La nuova mappa elettorale proposta in Texas mira a ostacolare proprio il raggiungimento di questo obiettivo. Tuttavia, l’analista del New York Times Nate Cohn scrive che anche se la riforma mette i bastoni tra le ruote ai democratici, non significa che per loro la conquista della Camera sarà impossibile. Anche con la nuova mappa del Texas, stando ai sondaggi se si votasse oggi i Dem sarebbero infatti ancora favoriti a ottenere la maggioranza dei seggi. A livello nazionale la distribuzione dei distretti resta oltretutto molto più equilibrata di quanto si pensi. Durante lo scorso decennio, i repubblicani avevano ampiamente sfruttato il gerrymandering per garantirsi un vantaggio strutturale, ma molte di quelle mappe nel corso degli anni sono state smantellate da tribunali, referendum o riforme, e sostituite da versioni più equilibrate. Inoltre, anche se i repubblicani mantengono ancora roccaforti disegnate a loro favore , i democratici hanno risposto con le proprie, ad esempio in Illinois e Nevada. E in risposta alla riforma del Texas, pochi giorni fa il governatore della California Gavin Newsom ha proposto un voto speciale, che dovrebbe tenersi a novembre, in cui i californiani sarebbero chiamati ad approvare o meno la possibilità per il parlamento statale di ridisegnare i collegi prima delle elezioni di metà mandato . Il piano è stato definito una misura d’emergenza per neutralizzare il tentativo di manipolazione da parte dei repubblicani e riequilibrare la distribuzione dei seggi. Nel frattempo, i cambiamenti nei comportamenti elettorali hanno generalmente favorito i democratici, che hanno guadagnato terreno nelle aree suburbane dove la popolazione è più istruita – che erano tradizionalmente repubblicane – mentre hanno perso voti in zone urbane e rurali che non hanno comportato grandi perdite di seggi . Il risultato, fa notare Cohn, è che oggi la mappa elettorale per la Camera è probabilmente la più equilibrata dagli anni Sessanta. Quanto al Texas, i due distretti lungo il confine con il Messico soggetti alla modifica dei confini sono a maggioranza ispanica, e a conseguenza del recente spostamento a destra dell’elettorato ispanico nel 2024 avevano votato per Donald Trump. Ma qui, nonostante l’obiettivo sia quello di rendere il collegio ancora più repubblicano, il risultato non è scontato: gli elettori ispanici restano un segmento di elettorato meno prevedibile rispetto ad altri, senza contare che il voto di metà mandato è soggetto a dinamiche ben diverse rispetto alle elezioni presidenziali. Infine, da qui a novembre 2026 la strada è ancora lunga e altri stati democratici potrebbero seguire l’esempio della California, così come altri repubblicani quello del Texas. I due potrebbero aver infatti dato il via a una vera e propria “guerra del gerrymandering”, che rischia di espandersi e scombinare ulteriormente le carte in tavola.

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Gianluca De Feo