L'italiano arrestato in Serbia durante le proteste: "Vi racconto le mie 12 ore di terrore"

Una tranquilla serata al cinema che si trasforma in incubo. È quello che può succedere nella Serbia del 2025. Nel Paese sono in corso da mesi proteste antigovernative e negli ultimi giorni la tensione tra forze dell’ordine e oppositori del presidente Vucic, al potere da oltre un decennio e accusato di essere al vertice di un sistema corruttivo generalizzato, è salita di livello. Da una parte l’escalation di repressione da parte dell’autorità e i gruppi di fedelissimi del presidente impegnati in un’attività di costante destabilizzazione, dall’altra la radicalizzazione di alcuni circoscritti settori del movimento protestatario. Alessio Laterza, quarantaquattrenne pugliese da tre anni a Belgrado per lavoro, è stato arrestato giovedì sera con l’accusa di aver lanciato sassi contro la polizia, insieme all’amico serbo con cui aveva passato la serata. “Ci siamo ritrovati in prossimità degli scontri per puro caso: per tornare a casa in assenza dei mezzi di trasporto, fermi a causa del caos in città, abbiamo fatto una lunga camminata a piedi passando per Piazza Slavija, dove c’era un grosso raduno. Per evitare problemi abbiamo aggirato l’epicentro, ma mi sono ritrovato ai piedi del tempio di San Sava, dove la polizia stava proprio in quegli istanti creando un cordone di sicurezza per arginare i manifestanti. Scesi dai veicoli, hanno cominciato con gli arresti, io sono stato uno dei primi”. Con i suoi occhi Laterza fotografa una delle scene che dal 13 agosto si stanno ripetendo con regolarità: piccoli gruppi di facinorosi che premono sulla polizia e spesso lanciano oggetti, e poi dall’altra parte le cariche indiscriminate dei poliziotti, in molti casi violenze a favore di smartphone con manganelli e gas lacrimogeni. Alessio racconta di aver alzato le braccia senza opporre alcuna resistenza, ma non è bastato. L'incubo è solo all'inizio. Laterza ancora non lo sa, ma sta per conoscere gli agenti di polizia con la peggior reputazione, su cui pendono delle denunce gravi: gli uomini della Jedinica za obezbeđenje određenih ličnosti i objekata , traduzione letterale “Unità per la sicurezza di determinate persone e strutture”, sono accusati, sulla base delle segnalazioni raccolte, di aver perpetrato negli ultimi giorni “torture e abusi” e persino “molestie sessuali” nei confronti di una studentessa, portata nella stessa struttura di Laterza. La ragazza ha affermato di essere stata minacciata di stupro, un caso che sta alimentando il dibattito delle ultime ore in Serbia. Il principale partito parlamentare di opposizione Kreni Promeni ha cercato di scavare nella vicenda, spiegando che la competenza di base dell’unità non dovrebbe essere l'arresto dei manifestanti, ma attualmente è proprio il nucleo che ne ha eseguiti di più, “senza alcuna base legale” aggiungono. Il comandante Marko Krichak e i suoi, di nero vestiti, sono stati immortalati e rilanciati sui social media, tra spintoni, maltrattamenti, intimidazioni, ma soprattutto manganelli telescopici. Laterza insieme agli altri arrestati viene portato proprio nei sotterranei di via Nemanjina, il luogo dove si sarebbero consumate violenze e violazioni di vario tipo e dove, la notte del 13 agosto, sono presenti agenti dell'unità JZO. “Nelle circa due ore che ho passato in questo centro di detenzione improvvisato, ho visto tantissime persone sdraiate con la testa in giù. I poliziotti sbraitavano. Io non parlo serbo, quindi capivo davvero poco e non sono stati fatti sforzi per capirci in inglese durante tutta la mia 'permanenza'. Mi hanno chiesto di voltarmi e di stare faccia al muro. Ed è in quel momento che hanno distrutto tutti i telefoni, compreso il mio. Da lì ho visto solo ombre e sentito il rumore delle percosse. Sono stato tra i pochi fortunati a non essere picchiato. Ancora non sapevo perché mi avessero arrestato”. La lunga notte di Laterza continua a Nuova Belgrado, la parte moderna della città, in un nuovo centro dove il clima è più rilassato, ma in cui, denuncia, le violazioni dello stato di diritto continuano. “Non mi è stato permesso di contattare nessuno, neanche un avvocato. Quando ho chiesto di parlare con l’ambasciata, mi è stato risposto ‘Qui non siamo mica in un film americano’. In attesa di essere ascoltato da un giudice, mi hanno chiuso in una cella senza acqua né cibo ignorando le mie richieste. Mi hanno dato da bere solo alle 10:30, al momento della deposizione. Mi volevano obbligare a firmare dei documenti in serbo. mi dicevano che c'era un ufficiale di polizia pronto a testimoniare contro di me e dei video delle telecamere di sorveglianza che mi avrebbero inchiodato, cosa ovviamente non vera perché ero lì di passaggio”. La giudice si prende del tempo per decidere sul destino di Laterza. La valutazione, però, è positiva, lo richiama nella stanza per dirgli che è stato un “semplice danno collaterale, una casualità e quindi sarà rilasciato senza accuse”. Laterza, di professione software developer per una grande multinazionale, è ancora scosso e incredulo. Continua a vedere il suo nome rilanciato da testate, agenzie di stampa e sui social. “Su X ho letto notizie diffamatorie sul mio conto. Sono stato persino citato da un ministro come uno dei tre stranieri arrestati, una comunicazione fatta trattandomi alla stregua di un foreign fighter”. Del resto, nella narrazione delle autorità i manifestanti sarebbero al soldo delle potenze straniere e il movimento starebbe tentando “una rivoluzione colorata” orchestrata dall’Occidente. Laterza, che ribadisce di essere stato totalmente estraneo agli scontri, non nega però di aver partecipato a molti raduni pacifici degli ultimi mesi: “È stato inevitabile: avendo tanti amici serbi e condividendo i principi e i valori che hanno ispirato il movimento fin dal principio mi sono unito a loro: trasparenza, legalità, libertà dei media. Ora certamente si respira un clima pesante”. Cosa ha imparato da questa storia? In Serbia soprattutto negli ultimi giorni, con un trend iniziato a luglio dopo la grande proteste di Vidovdan e con l’ondata di blocchi stradali che ne è seguita, si praticano arresti "a tappeto", in cui spesso rimangono vittime persone pacifiche o semplici passanti, ora più che mai considerando l’insofferenza della piazza e l’entrata in scena di gruppuscoli di facinorosi. Una strategia della tensione che peggiora una volta arrivati nelle strutture detentive. “Il dietro le quinte degli arresti è forse - conclude Laterza - la cosa più inquietante e che oggi sento il dovere di denunciare".

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Ludovica Passeri