Afghanistan 4 anni dopo, le donne cancellate del Panjshir

Dal 2003, tra i villaggi rurali e le montagne della Valle del Panjshir, nel nord dell’Afghanistan, c’è una luce che continua a rimanere accesa. È la vita che anima il centro di maternità di Anabah, dove nascono tra i 7 mila e i 10 mila bambini e bambine al giorno, nel Paese in cui il tasso di mortalità materna è tra i più alti al mondo – 638 morti per 100 mila nascite e 45 neonati su 1 mila muoiono prima dell’anno di età. “Quando conosci da vicino le condizioni in cui vivono le donne afghane, non hai altra scelta che rimanere, non puoi più fare finta di niente”, racconta a Sky TG24 Insider la ginecologa italiana Keren Picucci che lavora da 12 anni all'interno del centro. Nella clinica di Anabah l’impatto delle limitazioni estreme imposte alle donne in fatto di istruzione, lavoro e spostamenti è sempre più evidente, soprattutto nelle pazienti che raggiungono l’ospedale in gravi condizioni. Spesso anche rivelare un problema di salute è complesso: “Continuiamo a vedere mamme morire al parto perché non raggiungono l’ospedale in tempo o a causa di gravi complicanze che si sarebbero potute evitare”, racconta la ginecologa. E con l’arrivo dei talebani le risorse economiche si sono ridotte drasticamente: “Facciamo un grande sforzo per cercare di ottimizzare, ricoverando solo le pazienti ad alto rischio e indirizzando le altre in strutture diverse. Ma non basta: il nostro è rimasto l’unico porto sicuro nel naufragio totale di questo Paese. C’era un Afghanistan prima che arrivassero i talebani, e ce n’è uno dopo. Quello che mi viene a trovare ogni giorno attraverso le pazienti che incontro”. Come è cambiato il suo, il vostro lavoro, da quando i talebani nel 2021 hanno ripreso il potere e annullato i diritti delle donne? Prima qui c’era una popolazione mista. Alcune pazienti venivano dalla valle del Panjshir, una zona montuosa con un grosso isolamento geografico che porta chi ci vive a relazionarsi poco con l’esterno, e un tasso di analfabetismo intorno al 90%. Nonostante questo accedevano all'ospedale donne in condizioni diverse, alcune più vicine a zone urbane, come la provincia di Kapisa o quella di Parwan. E zone urbane significa più scuole, più ospedali. Avevamo anche pazienti da Kabul, che venivano fino a qui per ricevere assistenza nell'ospedale di Emergency. Si trattava quindi di una popolazione dove accanto a pazienti povere e non scolarizzate, c'erano anche donne “educabili” in senso sanitario: alcune andavano a scuola, qualcuna provava persino a diventare insegnante o infermiera. Una percentuale di pazienti era quindi in grado di comunicare e manifestare i propri sintomi? Insieme a noi hanno imparato a farlo. Io vedo le stesse pazienti da anni che vengono qui a partorire , e spesso sono state educate a riconoscere le complicazioni della loro gravidanza, come a prendere correttamente una terapia. Quel minimo apertura mentale in più di queste persone aveva ricadute positive tangibili: anche se con una scarsa scolarizzazione, capivano per esempio che soffrivano di diabete gestazionale, erano disposte a farsi spiegare come somministrarsi l’insulina ed erano motivate a curarsi per far nascere un bambino vivo. Avevamo insegnato loro l’importanza di andare in ospedale e controllarsi. Ecco, tutto questo ora è vanificato, non c'è più. Cos'è cambiato dall’agosto 2021? Il Panjshir ha cambiato popolazione. Ci sono le donne che abitavano con le loro famiglie nei villaggi, che rappresentano da sempre un terzo delle nostre pazienti, e poi si sono insediati i talebani, irrigidendo moltissimo la militarizzazione del Panjshir. Ora questo luogo è presidiato, pieno di militari armati, più che mai sorvegliato. E tutti questi soldati e comandanti hanno più mogli, che vengono qui in clinica a partorire. In che condizioni versano queste donne? Non esagero se dico hanno un livello di sviluppo umano paragonabile a un animale, perché vengono trattate come animali: chiuse in casa, senza nessun contatto con l’esterno, quasi incapaci di esprimersi verbalmente. Sono isolate, traumatizzate, impaurite, completamente incapaci di relazionarsi anche con il personale locale. Sembrano non essere in grado di capire e di dirci come stanno: hanno dolore? Dove lo sentono? Da quanto tempo stanno male? Non lo sanno. E vengono da voi per partorire. Mettere al mondo figli è la loro unica funzione nella società. Certo, rimangono continuamente incinte, perché la loro vita ha quello scopo: avere gravidanze e basta, non servono a nient’altro. E non hanno la minima consapevolezza di loro stesse: non riescono neanche a capire chi sono, se vogliono essere qualcosa di diverso. Non sono in grado di chiedersi cosa le rende felici, o cosa le rende infelici. L'isolamento a cui sono costrette causa loro un ritardo mentale secondario. Una persona nasce intelligente, poi viene tenuta in isolamento per 20 anni, e il suo cervello non viene stimolato quasi in nessun modo. Sono esseri umani deprivati di qualsiasi cosa. E diventano spose bambine. A che età si sposano in media, e quante gravidanze hanno? Si tratta di una popolazione ad alta fertilità, mediamente hanno 7-8 figli vivi ma molte più gravidanze dei figli vivi, perché alcuni muoiono o alcune gravidanze esitano in aborti. Qualche giorno fa una paziente ha avuto una complicanza terribile, stava per morire. La vedo per la prima volta camminare in reparto, quasi guarita, e le chiedo quanti anni ha, o quanti anni pensa di avere . Mi risponde che ha 27 anni ed era al quinto bambino. Si è sposata a 14 anni, subito dopo la prima mestruazione. Riprodursi è l’unica cosa che hanno il permesso di fare. Ma anche fare figli in queste condizioni è un rischio, perché l’ignoranza va di pari passo con la trascuratezza dell'evento gravidanza stesso. Spesso arrivano qui pazienti che non si erano mai fatte visitare prima, già in gravi condizioni. Ma qui per gli uomini è normale che le donne partoriscano e ogni tanto muoiano. Se succede il talebano di turno sceglie un’altra moglie. Negli ultimi mesi le donne afghane hanno subito un’ulteriore stretta ai loro già quasi inesistenti diritti. Sì, abbiamo visto un irrigidimento atroce: sono stati ribaditi degli editti che loro pensano sia promanati dal Corano ma non hanno invece alcuna traccia in nessuna delle scritture dell'Islam. Alle donne è stato proibito far sentire la propria voce in pubblico, e devono essere completamente coperte dalla testa ai piedi perché il burqa è diventato obbligatorio. Insomma, devono essere completamente cancellate. Valgono meno degli animali. Il Paese sta anche attraversando un collasso economico. Questo pesa? Sì, prima del ritorno dei talebani si poteva contare su un benessere minimo: banalmente, era possibile che il marito della partoriente avesse la macchina per portare la donna a fare i controlli in ospedale. Ora l'altro problema drammatico è appunto lo stato economico completamente disastrato della popolazione. Le famiglie afghane sono famiglie numerosissime, tra le 20 e le 30 persone – si vive insieme ai parenti, non ci si divide in case diverse. E si tratta di intere famiglie che vengono mantenute da una sola persona che lavora. Come le professioniste della clinica? Sì, nella Maternity abbiamo solo personale femminile, si tratta di oltre 100 donne che lavorano: infermiere, ostetriche, dottoresse e addette alle pulizie. Anche una donna che fa le pulizie, pur non avendo studiato, è colei che mantiene tutta la famiglia perché ha un impiego. Le condizioni economiche qui sono drasticamente peggiorate. E senza soldi non si può nemmeno percorrere un tratto di strada per raggiungere una clinica. All’interno della vostra clinica le donne sono libere di lavorare. Sì, questa per noi è un’isola felice: la mia collega afghana è libera di girare per il reparto visitando le pazienti, prendendo decisioni, confrontandosi con i colleghi maschi senza paura, guardandoli in faccia. Le donne che lavorano qui possono fare quello che per le donne non afghane è normale fare. Si sentono libere e ascoltate. Le donne afghane non sono ribelli, ma resilienti. È così? Assolutamente, la loro resilienza è impressionante. Negli anni qui ho capito che il loro rapporto con la fede è una cosa seria, quindi la loro relazione con la vita non è mai di opposizione. Le persone musulmane sono sottomesse al volere di Dio, quindi accettano e resistono. Tutte le donne del mondo generano vita, accudiscono i bambini e i loro anziani, si occupano degli animali e coltivano le piante. Le donne fanno fiorire il Pianeta. Lei è italiana, è in Afghanistan da 12 anni. Cosa la motiva ad andare avanti? Le combinazioni della vita in maniera karmica ci portano a essere in determinati luoghi mai per caso. E credo che nel momento in cui un medico che lavora in ostetricia - una disciplina sacra che protegge la vita - vede questo scempio, questo assoluto spreco di bellezza e di energia, non può più far finta di niente. Non avendo una famiglia mia, ho avuto il privilegio di potermi dedicare a tutto questo. Di fronte a una realtà così estrema non ho potuto fare altro che rimanere. Non puoi più uscirne: se vedi, non puoi dimenticare. Lei fa nascere migliaia di bambine l’anno in un luogo in cui essere femmina è una condanna. Che speranza nutre per il futuro delle bambine afghane? Dico sempre alle dottoresse del mio staff: ragazze, non è possibile che tutto questo duri. Dovete settare il vostro cervello pensando che le bambine andranno di nuovo a scuola, che avrete uno Stato migliore in cui vivere. Non possiamo pensare il contrario, sarebbe come essere complici dei talebani. Non è possibile che una bambina non abbia il diritto di andare a scuola nel 2025. Non so quando, ma ho bisogno di pensare che tutto questo finirà. Ogni tanto torna in Italia? Sì, presto tornerò per sei settimane di ferie. Il Panjshir, tra le montagne dell’Asia, è un posto che dal punto di vista geografico e paesaggistico è talmente bello che mi toglie molti dei desideri viaggiare o andare in vacanza: qui vediamo il tramonto, la neve, il verde. Cerchiamo di valorizzare la bellezza che c’è. Sa che cos’è invece molto tangibile ogni volta che torno in Italia? Il significato di democrazia. Gli italiani non se lo ricordano più, ma quando ritorno a casa mi sento al sicuro, perché non sono alla mercè dei capricci del primo talebano armato. Ho capito che l'Italia è veramente un Paese democratico, e mi ci sento più legata ora di quando ci vivevo.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Afghanistan 4 anni dopo, le donne cancellate del Panjshir

Giulia Mengolini