Perché Putin e Trump hanno scelto proprio l'Alaska per incontrarsi

Il diavolo sta nei dettagli. E infatti, nel caso dell’attesissimo e delicatissimo incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, il dettaglio chiave è il luogo dell’incontro: l’Alaska. Luogo particolarmente impervio e lontano dai radar della grande politica, l’Alaska non è un posto come gli altri. Tanto per cominciare è di fatto terra di confine tra Stati Uniti e Russia, distanti meno di un centinaio di chilometri e divisi da uno stretto braccio di mare quasi sempre ghiacciato. Poi, tanto per dirne un’altra, l’Alaska è allo stesso tempo un’exclave statunitense, distante circa 2000 chilometri dal resto degli Stati Uniti, e una specie di exclave russa, dal momento che lì parte della popolazione parla russo ed è di religione ortodossa. Questo perché, fino a circa 150 anni fa, l’Alaska era in tutto e per tutto territorio russo, comprato dagli Stati Uniti nel 1867 per 7,2 milioni di dollari . Ma, al di là di questo, c’è un’altra questione che rende l’Alaska un luogo di incontro non casuale. Una questione che non ha niente a che fare né con l’Ucraina, né con l'incontro del prossimo venerdì. Una questione che, invece, con ogni probabilità avrà a che fare con gli incontri diplomatici e con le guerre dei prossimi decenni: l’Alaska costituisce l’unico sbocco americano sull’Artico. E se questa cosa, fino a pochi anni fa, poteva significare solo ghiaccio e freddo, oggi significa avere un affaccio sulla più grande e importante via commerciale dei prossimi decenni. La ragione, come è evidente a tutti in questi giorni, sta nel fatto che il clima sta cambiando e che il caldo è aumentato, portando a un velocissimo scioglimento dei ghiacci e a quello che fino a venti anni fa sarebbe stato inconcepibile: la navigabilità dell’Artico. Infatti, se per millenni l’Artico non è stato niente altro che una landa gelida e spesso mortale per chi osava attraversarla, oggi, e soprattutto domani, sarà una specie di autostrada d’acqua, per giunta particolarmente veloce da attraversare dal momento che al Polo Nord tutti i continenti sono distanti tra loro appena una manciata di miglia nautiche. Non solo, ma secondo le stime, è possibile che lì, sotto quei ghiacci in via di fusione, si nascondano enormi e del tutto intatte riserve di petrolio e gas. Tutto questo, come è evidente, rende l’Artico un’area del mondo particolarmente strategica e delicata. E soprattutto motivo di contesa e ambizione per quasi tutti i Paesi del mondo, perché è verosimile che, in futuro, chi controllerà l’Artico controllerà gran parte dei commerci e delle risorse del pianeta. Al momento, i Paesi il cui territorio ha qualcosa a che fare con il territorio artico sono 8: la Russia, che ne controlla, da sola, il 53% delle coste; l’altra metà scarsa, invece, se la devono dividere Canada, Stati Uniti , Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda: tutti Paesi NATO. Oppure, guardando la cosa con la lente di una sintonia particolarmente profonda tra Vladimir Putin e Donald Trump, tutti Paesi, come l’Islanda o la Danimarca, relativamente inoffensivi e disarmati, che non potrebbero reggere il confronto con le forze americane e russe, ipoteticamente intenzionate a spartirsi, prima o poi, la prossima via commerciale più importante del mondo, sottraendola alle mire di Cina e India che, anche se territorialmente non c’entrano niente, da anni lavorano per allestire loro basi sulle coste artiche. Quindi, anche se non abbiamo idea di quello che succederà venerdì tra Trump e Putin, di cosa si diranno, di come faranno i conti con il fatto di stare decidendo, come fosse cosa loro, la sorte di un Paese, l’Ucraina, che non hanno nemmeno invitato al tavolo, sappiamo che hanno scelto di incontrarsi in un posto diverso dai soliti luoghi dei summit e dei vertici, ma in una terra artica, chiave per i commerci e la geopolitica dei prossimi decenni. Il diavolo, dicevamo, è nei dettagli. Ed è possibile che, nel vertice di venerdì, l’Ucraina sia solo uno degli argomenti sul tavolo. E forse nemmeno il più importante.

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Luciana Grosso