Iran-Europa, sul nucleare la diplomazia deve ricostruire la fiducia

Sul futuro del nucleare iraniano la diplomazia prova, nuovamente, a farsi spazio. Venerdì 25 luglio a Istanbul andranno in scena le trattative tra l’Iran, che da tempo si è detto pronto a riprendere i colloqui sul nucleare, e i Paesi del gruppo E3, costituito da Francia, Germania e Regno Unito, le tre nazioni europee che hanno siglato nel 2015 il Joint Comprehensive Plan of Action per governare assieme a Usa, Cina, Russia e Unione Europea il futuro del programma atomico di Teheran. A un mese dalla fine dei dodici giorni di guerra con Israele e dopo il sostanziale esaurimento delle prospettive negoziali tra Iran e Usa i dialoghi sul futuro del nucleare ritornano in campo in un contesto in cui la prima sfida per le parti in causa è quella di ricostruire la fiducia nella diplomazia. L’inizio del negoziato sarà cauto: sia l’Iran che i tre Paesi europei non invieranno infatti i capi delle rispettive diplomazie ma organizzeranno delegazioni guidate dai rispettivi viceministri degli Esteri. Da un lato, infatti, gli Stati europei sanno che il vero negoziato decisivo è quello tra Iran e Usa e che il ruolo dei Paesi che non hanno, al contrario di Washington, ripudiato il Jcpoa può essere oggigiorno soprattutto quello di capire i margini di una trattativa a tutto campo che riporti Teheran e Washington a parlarsi. Dall’altro, la diplomazia iraniana ritiene di aver fondati motivi per dubitare della disponibilità europea a una trattativa equilibrata. Il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, ha più volte lamentato prima dello scoppio della guerra con Israele l’indisponibilità dell’E3 a un confronto diplomatico attivo, ha criticato la posizione dei Paesi europei nel conflitto, ritenendolo troppo aperto alle ragioni di Tel Aviv, e nelle scorse ore ha rispedito al mittente le pressioni di Parigi, Berlino e Londra, che hanno minacciato l’Iran di ricorrere al meccanismo dello “snapback” insito nel Jcpoa qualora la Repubblica Islamica chiudesse a un confronto con Washington. Lo sprone di Araghchi all’Europa Araghchi ha ammonito, in un lungo post pubblicato su X, di ritenere la situazione politica estremamente problematica e lanciato un duro ammonimento: le problematiche da risolvere perché Iran e E3 trovino una quadra saranno numerose dato che secondo Teheran “attraverso le loro azioni e dichiarazioni, tra cui il sostegno politico e materiale alla recente aggressione militare immotivata e illegale di Israele e Usa, il rifiuto dei pilastri principali del Jcpoa, e la lunga e continua incapacità di rispettare i propri impegni, l'E3 ha reso il Jcpoa nullo e privo di valore”. I Paesi europei scontano, agli occhi di Teheran, anche lo scivolone diplomatico dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza comune Kaja Kallas, che ha dichiarato a inizio mese che la “fine del programma nucleare iraniano” era un obiettivo da perseguire anche se l’accordo del 2015, di cui l’Ue quest’anno è coordinatrice, ne consenta il proseguimento per fini civili. Un’uscita che ha irritato profondamente la diplomazia iraniana e che fa sì che oggigiorno i dialoghi tra Teheran e l’E3 debbano necessariamente partire navigando a vista, da obiettivi di piccolo cabotaggio come il ristabilimento di una fiducia che rischia di essere venuta meno. La guerra ha paralizzato ogni possibilità di un abboccamento Usa-Iran: prima dell’escalation tra Israele e Iran, infatti, le diplomazie di Teheran e Washington avevano svolto una serie serrata di cinque colloqui per trovare un accordo sul nucleare, andati in scena tra Mascate e Roma con la mediazione dall’Oman. Il momento della diplomazia I Paesi europei e l’Iran, in questa fase, hanno bisogno però gli uni dell’altro. I primi per provare a riacquisire centralità sulla scena internazionale, poter ottenere una leva politica da spendere con gli Usa sul tema del confronto politico e non esternalizzare ad attori imprevedibili come Israele il ridisegnamento degli equilibri internazionali. L’Iran perché il completamento del processo negoziale e l’apertura dell’Occidente al prosieguo del programma nucleare restano obiettivi chiari per il cui conseguimento il dialogo con l’Europa rappresenta un passaggio decisivo. Da entrambe le parti deve prevalere il realismo: sul fronte europeo, la necessità di fare dei distinguo rispetto al passo falso di Kallas e alla linea dura americana e israeliana, su quello iraniano l’apertura a compromessi e la consapevolezza che l’unico modo per salvare il Jcpoa è mostrare una reale volontà di mediazione. Il primo abboccamento di Istanbul ha, a tal proposito, lo scopo di sondare quanto grandi siano le distanze tra le parti a un mese dalla guerra. Ma la diplomazia si è messa in moto, e non solo tra Iran e Europa. Nota Le Monde che “domenica, il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto un incontro a sorpresa al Cremlino con Ali Larijani, il principale consigliere della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei per le questioni nucleari”. Difficile non legger la notizia in sovrapposizione tra l’annuncio dei colloqui e la recente telefonata tra lo stesso Putin ed Emmanuel Macron centrata sulla de-escalation sul nucleare iraniano. Parliamo di grandi manovre che, per ora, Washington resta ad osservare ma che potrebbero, molto presto, coinvolgerla se la diplomazia prenderà piede. E in prospettiva possono dare una nuova chance al negoziato se la fiducia sarà ricostituita. E riuscire a farlo sarà il primo, e più complesso, obiettivo di un dialogo che si preannuncia articolato.

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