Gaza, bombe sull’ultimo rifugio e simbolo dei cristiani

Le bombe israeliane sulla Parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza hanno destato grande indignazione e portato l’attenzione del mondo sull’unico luogo di culto cristiano esistente nella Striscia. Una piccola comunità punto di riferimento per i cristiani di Gaza prima della guerra iniziata il 7 ottobre 2023 che nel corso dei ventuno mesi di conflitto è stata anche asilo e porto sicuro per centinaia di civili palestinesi fino ai drammatici fatti di ieri, quando la Chiesa è stata colpita da un proiettile israeliano, probabilmente sparato da un carro armato. L’attacco ha causato la morte di tre persone e il ferimento di altre nove. Tra i feriti figura anche il parroco, Padre Gabriel Romanelli. Le immagini diffuse mostrano danni significativi al tetto e alle finestre dell’edificio e l’evento ha suscitato critiche e scalpore nel mondo intero: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato oggi con Papa Leone XIV per ribadire che il colpo è partito “per errore” e che sull’accaduto si aprirà uin’inchiesta. Intanto, il Patriarca Latino di Gerusalemme, Cardinale Pierbattista Pizzaballa, otteneva di entrare a Gaza per visitare la Chiesa e mostrare la sua vicinanza dopo aver espresso profondo dolore e preoccupazione per quanto accaduto. Il simbolo dei cristiani di Gaza La chiesa è stata costruita in tempi recenti, nel 1974, con l'edificazione della Scuola della Sacra Famiglia ad opera del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Da allora è stata l'unica Chiesa per il culto della piccola comunità cristiana di Gaza, che conta circa un migliaio di persone, meno dell'1% della popolazione, prima della guerra. La Chiesa e la parrocchia della Sacra Famiglia sono da sempre state però un punto di riferimento al di là del loro valore religioso. Situata nel Nord della Striscia, l'istituzione ha ospitato l'educazione dei bambini sia cristiani che musulmani della città e si è presentata come un'importante organizzazione caritatevole. Tre ordini religiosi femminili, le congregazioni delle Missionarie della Carità, delle Serve del Signore e della Vergine di Matarà e delle Suore del Rosario, animano sia l’attività educativa che quella assistenziale della parrocchia. Da sempre la Sacra Famiglia di Gaza è stata riconosciuta come una piccola, ma significativa istituzione del territorio oggi piagato dal conflitto. Un’istituzione che ha saputo a lungo fornire sostegno a una popolazione povera e colpita dagli annosi problemi economici legati al sostanziale isolamento della Striscia, contribuendo all’integrazione della popolazione cristiana nel tessuto sociale di Gaza. Un ruolo consolidato anche nella lunga guerra che da quasi due anni affligge Gaza: fin dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas questa piccola parrocchia si è trasformata in un punto di riferimento spirituale, umano e materiale per centinaia di persone – cristiane e musulmane – che non avevano altro luogo sicuro in cui rifugiarsi. Si stima che il perimetro della parrocchia desse, al 17 luglio, rifugio a oltre 500 civili, tra cui anziani, bambini e disabili. Romanelli, Pizzaballa e la testimonianza della Sacra Famiglia La guerra ha fatto emergere anche la figura del parroco di Gaza, padre Gabrel Romanelli, sacerdote argentino originario di Buenos Aires che dopo esser stato spostato a Gerusalemme dall’inizio del conflitto ha scelto consapevolmente di tornare presso i suoi fedeli. Tra il 2024 e il 2025, Jorge Mario Bergoglio, il defunto Papa Francesco, ogni sera, offriva conforto alla comunità cristiana della Striscia parlando al telefono con il sacerdote, argentino come lui. Oggi Pizzaballa ha ribadito che "la nostra preoccupazione principale è la nostra comunità a Gaza: sostenerla, essere presenti per lei, non abbandonarla". Ad oggi più che mai una priorità che si impone come necessaria. Da tempo, la Sacra Famiglia era nel cuore del conflitto: “La parrocchia è già stata direttamente sotto attacco in passato, incluso un bombardamento avvenuto a circa 300 metri dalla chiesa a marzo e ad aprile, Romanelli ha definito Gaza una "prigione" e ha esortato i leader mondiali a cercare la pace”, nota Catholic World Report. Il timore è che l’attacco del 17 luglio mette ora a rischio uno degli ultimi spazi rimasti per la speranza e la solidarietà civile nella Striscia.

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