Chi voterebbe per il partito di Musk?

A seguito della lite con Donald Trump, il 5 luglio scorso Elon Musk ha annunciato l’intenzione di fondare un nuovo partito politico chiamato “America Party”. L’obiettivo dichiarato dal miliardario patron di Tesla è contrastare quella che definisce una "finta democrazia", dove entrambi i grandi partiti statunitensi contribuiscono a sprechi pubblici e corruzione. Musk non è il primo nella storia recente degli Stati Uniti a proporre la fondazione di un terzo partito o volersi presentare alle elezioni come terzo candidato . Anzi, gli ultimi decenni pullulano di esempi: il più celebre è probabilmente quello di Ross Perot, che alle presidenziali del 1992 si candidò come indipendente e ottenne addirittura il 18,9% delle preferenze, ma nessun grande elettore. Facendo un passo indietro nel tempo, alle elezioni del 1968 l’ex governatore segregazionista dell’Alabama George Wallace fondò l’American Independent Party, in opposizione al movimento dei diritti civili, e vinse in cinque Stati del sud, ottenendo ben 46 grandi elettori. Tuttavia, nonostante la maggioranza degli americani sia favorevole alla presenza di un terzo partito forte, il sistema elettorale maggioritario americano favorisce nettamente il bipartitismo: nei decenni passati una delle principali conseguenze della presenza di questi partiti sulla scheda elettorale è stata infatti quella di scippare voti al candidato Democratico o Repubblicano e favorire il suo avversario. Gli storici concordano, ad esempio, sul fatto che la candidatura di George Wallace, un ex Democratico, favorì la vittoria del Repubblicano Richard Nixon. Diversi analisti sostengono inoltre che il Partito Verde possa aver contribuito alla risicata vittoria di Donald Trump nel 2016 togliendo voti a Hillary Clinton in alcuni Stati chiave, persi dalla candidata Democratica per poche migliaia di preferenze. Ma sistema elettorale a parte, fondare un partito di successo, soprattutto negli Stati Uniti, non è un’impresa facile. Prima di tutto servono tanti soldi – forse l’unico dei problemi di cui Musk non si deve preoccupare – ma bisogna anche far fronte alle diverse leggi che in ogni stato regolano l’accesso alle schede elettorali, oltre a trovare le persone giuste da candidare. L’ostacolo successivo è quello di lanciare una campagna di comunicazione che convogli efficacemente il proprio messaggio all’elettorato, in maniera tale da provare a far breccia nel tradizionale duopolio Repubblicani-Democratici: un obiettivo particolarmente difficile in un panorama mediatico sempre più frammentato e polarizzato. In quale spazio politico potrebbe inserirsi Musk? È ovviamente ancora troppo presto per lanciarsi in sondaggi o previsioni su un partito che deve essere ancora formalmente fondato. Tuttavia George Elliott Morris, ex direttore editoriale di FiveThirtyEight, ha provato a utilizzare i dati attualmente disponibili sull’elettorato statunitense per definire in quale spazio politico potrebbe inserirsi l’America Party di Musk. L’analisi di Morris, basata su dati dell’American National Election Study 2024 e altri sondaggi, va per esclusione: il 67,5% degli elettori statunitensi si identificano fortemente come Democratici o Repubblicani, dunque quasi sicuramente non voteranno per il partito di Musk. Dei rimanenti, il 14% ha un'idea positiva di Trump, quindi in uno scontro tra i due difficilmente voterà per l’America Party. Un ulteriore 16% è favorevole alla spesa pubblica, un’idea in contrasto con l'agenda di Musk. Infine, solo il 30% degli americani ha un'opinione favorevole del patron di Tesla. Applicati tutti questi “filtri”, rimane solo lo 0,75% dell’elettorato americano. Un secondo metodo d’analisi, che raggruppa gli elettori in grandi blocchi ideologici, porta a un risultato appena più favorevole: circa il 2% dell’elettorato, al massimo, potrebbe rispecchiarsi nell’ideologia dell’America Party. In entrambi i casi, si tratta di un gruppo minuscolo e sparso per il territorio nazionale, senza una base geografica forte che possa davvero competere per seggi al Congresso in un sistema elettorale maggioritario come quello americano, dove il partito che ottiene più voti si prende tutto.

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