Cosa è chiaro (e cosa no) in quel 5% del Pil da investire nella Difesa

Vale la pena di leggere con attenzione il documento finale della recente conferenza della NATO per chiarire alcuni punti su cui qualche media ha fatto un po’ di confusione. Anche se non tutto può essere chiarito… Dopo aver ribadito che l’Alleanza sta fronteggiando “profonde minacce per la sicurezza, in particolare la minaccia di lungo termine posta dalla Russia alla sicurezza Euro Atlantica” , la Dichiarazione afferma l’obiettivo di investire annualmente il 5% del Pil entro il 2035 per la difesa e per spese correlate alla difesa e alla sicurezza, di cui “almeno il 3,5%, sulla base della definizione concordata in sede NATO di spese per la difesa, per finanziare i bisogni della difesa di base e per raggiungere gli Obiettivi di Capacità della NATO”. Gli Alleati si impegnano anche a spendere fino all’1,5% di Pil al fine di, tra le altre cose, “proteggere le nostre infrastrutture critiche, difendere le nostre reti, assicurare la nostra preparazione civile, liberare l’innovazione, e rafforzare la nostra base industriale per la difesa”. Cosa significa quel 3,5% C’è una chiara definizione di quali voci di spesa possano essere conteggiate per il rispetto del vincolo di “almeno il 3,5%” del Pil. È l’attuale definizione di spesa per la difesa utilizzata dalla NATO e che comprende quattro tradizionali categorie: equipaggiamento , gli stipendi del personale, le infrastrutture militari e il resto, ossia operazioni, esercitazioni, R&D per la difesa, e aiuti ad altri Membri della NATO, e, ora , anche all’Ucraina. Questa definizione è soggetta, come tutte le definizioni, a interpretazioni. Ed è così che l’Italia ha scoperto quest’anno che, invece di spendere come aveva detto Crosetto lo scorso novembre, solo l’1,6% del Pil per la difesa, spende già il 2%. Questo riclassificando alcune voci che erano escluse dal conteggio, per errore nostro. Assumendo che questa riclassificazione sia accettata dalla NATO, raggiungere l’obiettivo richiesto dalla The Hague Summit Declaration richiede, comunque, un aumento della spesa dal 2% al 3,5% del Pil, un punto e mezzo, ossia, assumendo una crescita lineare per dici anni, 0,15% ogni anno. Al livello attuale del Pil questo vuol dire quasi 3 miliardi e mezzo. Tenendo conto dell’aumento del Pil nel prossimo decennio , nel 2035 dovremmo aver aumentato la spesa di 40 miliardi . Tanto per darvi un’idea, 40 miliardi sono oltre la metà della spesa pubblica per l’istruzione. E così nel 2035 la spesa per la difesa eccederebbe quella per l’istruzione. Cumulando sui 10 anni, la spesa aggiuntiva sarebbe di quasi 200 miliardi, quasi il 10% del Pil attuale . I numeri sarebbero più alti se la NATO non ci considerasse come valida la riclassificazione che ho citato sopra. I dubbi su quell'1,5% Questo per quanto riguarda il 3,5%. Per il restante 1,5% le cose sono vaghe. Le spese che rientreranno in questa categoria non sono state definite precisamente, sicché non sappiamo qual è il punto di partenza al 2025 e, quindi, qual è la spesa aggiuntiva. Ma le cifre difficilmente saranno irrilevanti. Il nodo della composizione della spesa C’è un’altra questione, molto importante, ancora da chiarire. La composizione della spesa per la difesa è cruciale. Un conto è spendere per gli stipendi, un altro per armamenti. In passato, questo problema era stato risolto imponendo, per esempio, quote minime per le spese di un certo tipo . L’approccio attualmente seguito è più avanzato. Come indicato, le spese del 3,5% del Pil dovranno anche essere tali da consentire di “raggiungere gli Obiettivi di Capacità della NATO”. Questa espressione non ha attirato molta attenzione mediatica, ma è molto importante. Negli ultimi mesi sono state tenute discussioni tra la NATO e i singoli Paesi Membri per definire come ogni Membro dovrà contribuire alla capacità di difesa della NATO . In linea di principio, questo approccio è migliore rispetto alla fissazione di quote minime di spesa per certe macro-categorie. Ma lascia ulteriormente incerto cosa dovrà fare esattamente ogni membro NATO per contribuire adeguatamente ai suddetti Obiettivi di Capacità . Tutto sommato, restano ancora diverse cose da chiarire, almeno per chi non è uno degli “addetti ai lavori”, su cosa esattamente l’Italia dovrà fare nei prossimi dieci anni. Una sola cosa è certa: l’impegno sarà molto rilevante.

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