Come Trump rischia di arricchire i ricchi e impoverire i poveri

Qualche settimana fa abbiamo visto come la nuova legge di bilancio proposta dall’amministrazione Trump, se approvata definitivamente, porterebbe la spesa del governo federale in ambiti non-emergenziali che non riguardano l’esercito e la difesa al suo minimo dagli anni ‘60. Al contempo, il nuovo budget prevede ingenti tagli alle tasse, che combinati al taglio del welfare rischiano di favorire soprattutto gli americani più ricchi e penalizzare quelli più poveri. Ora, una nuova indagine del New York Times mostra come la “Big Beautiful Bill” – la “Legge Grande e Bellissima”, come l’ha nominata Trump – sarebbe la più regressiva da qualche decennio a questa parte. Secondo nuove stime dell’Ufficio di bilancio del Congresso, se fosse approvato senza modifiche rispetto a come è passato alla Camera dei Rappresentanti a maggio, il disegno di legge aumenterebbe, in media, il reddito netto annuo del 10% degli americani più ricchi del 2,3% nei prossimi dieci anni, mentre ridurrebbe il reddito del 10% più povero del 3,9%. Si tratta di un’unicum nella storia recente degli Stati Uniti: dagli anni ‘90 in poi una legge non ha mai penalizzato le classi meno abbienti, avvantaggiando al contempo i più ricchi. L’ultima volta negli ultimi trentacinque anni ci erano andati vicini i Repubblicani, quando nel 2017 tentarono – senza riuscirci – di abolire la riforma sanitaria di Barack Obama soprannominata Obamacare. Secondo l’analisi del New York Times, la sua abrogazione avrebbe infatti previsto tagli significativi a Medicaid, il programma federale che fornisce un'assicurazione sanitaria pubblica ai più poveri, e avrebbe redistribuito crediti d'imposta relativi all'assicurazione sanitaria in favore dei più ricchi. Alcune leggi regressive hanno penalizzato i più poveri o avvantaggiato i più ricchi, ma mai tutte e due le cose insieme. Due leggi svantaggiose per i meno abbienti furono promulgate durante il secondo mandato di Bill Clinton, rispettivamente nel 1996 e nel 1997. La prima tagliò diverse misure di welfare e di conseguenza nel giro di un anno causò una perdita del 3,9% del reddito per il 20% più povero della popolazione; al contrario dell’attuale legge proposta da Trump, tuttavia, non portò benefici ai più ricchi. La seconda fu in realtà un pacchetto di due leggi che mirava a raggiungere il pareggio di bilancio introducendo alcune modifiche al sistema sanitario, ma al contempo tagliava le tasse per i più ricchi. In questo caso non è chiaro se le classi meno abbienti ci persero o ci guadagnarono, ma di sicuro quelle più ricche ne uscirono ancora più ricche. Lo stesso massiccio taglio delle tasse approvato nel 2017 da Donald Trump, l’anno successivo fece crescere il reddito del 20% degli statunitensi più ricchi del 2,9%, ma anche quello del 20% più povero – seppur in misura decisamente minore – dello 0,4%. In maniera simile, i tagli alle tasse approvati sotto George W. Bush nel 2001 e nel 2003 avvantaggiarono i più ricchi e in qualche misura anche i più poveri: il 20% più ricco della popolazione vide aumentare il proprio reddito del 4,4% su base annuale e il 20% più povero dello 0,3%. Lo stesso fece – riducendo la forbice tra vantaggi per più ricchi e vantaggi per i più poveri – la decisione di Obama nel 2013 di prorogare la maggior parte delle riduzioni fiscali approvate da Bush: nel corso dello stesso anno il reddito del 20% più ricco della popolazione aumentò del 4,1%, mentre quello del 20% più povero del 2,5%. Per quanto svantaggiose nei confronti delle classi più popolari, nelle intenzioni di chi le passò, solitamente queste leggi avevano almeno uno di questi due intenti: favorire la crescita tagliando le tasse o abbassare il deficit ridimensionando il welfare. Secondo alcuni esperti intervistati dal New York Times, la “Big Beautiful Bill” di Donald Trump non sembra puntare né all’uno né all’altro obiettivo: il suo costo è enorme e rischia di far esplodere il deficit, a fronte di vantaggi molto esigui per la crescita economica. La legge potrebbe essere approvata già oggi dal Senato in via definitiva, poiché Trump ha chiesto che arrivi sulla sua scrivania entro il 4 luglio, la festa nazionale americana che celebra la Giornata dell’Indipendenza.

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