Scrivere per inventare un nuovo mondo, anche nell'orrore della guerra

E così anche mercoledì scorso, a Procida, sono sbarcati “sei autori in cerca di personaggio”. Ribaltando la fantasia pirandelliana, infatti, dieci anni fa, con la libreria Nutrimenti abbiamo immaginato un Festival che rivendicasse la matrice popolare della cultura, che mettesse al centro davvero e fino in fondo le storie e il loro mistero: mistero rannicchiato nell’evidenza che una storia è, sempre e nello stesso identico istante, di chi la racconta, di chi la ispira e anche di chi la ascolta, di chi legge. Allora ecco sei autori, appunto, ognuno con la sua visione, con il suo modo di sopravvivere alla realtà, approdare sull’isola di Arturo, il mercoledì, e perdersi per trovare una persona che li innamora o li respinge, che per analogia o contrappasso comunque li riguarda. Ecco ognuno dei sei autori passare del tempo con quella persona, entrare nelle sue stanze, affondare nelle sue acque, per poi scrivere un racconto ispirato a lei che leggerà il sabato, con il mare davanti e tutt’attorno. Ecco approdare sull’isola, assieme ai sei autori, centinaia e centinaia di lettori da ogni parte dell’Italia, quest’anno perfino dalla Spagna e dall’Inghilterra, per osservare i sei autori che cercano, i sei abitanti di Procida che scoprono quanto romanzesca possa essere la loro vita mentre scorre, per ascoltare, il giovedì e i venerdì, le presentazioni dei libri, i concerti dei sei autori. Che stavolta sono stati Lorenza Gentile, Lisa Ginzburg, Antonio Moresco, Erica Mou, Giovanni Truppi e Dario Voltolini. Eravamo dunque tutti dentro a questo rave letterario, al nostro sogno, a questa gigantesca possibilità di dimenticare il mondo per inventarne, assieme, un altro, quando, venerdì mattina, il mondo ha richiamato il mondo a se stesso. Al suo orrore, alla nostra impotenza. Di fronte ai quali la mia rubrica può solo tacere. Affidarsi proprio alle pagine di uno dei sei protagonisti di Procida Racconta, Antonio Moresco, quando, nel suo spettacolare Canto della luce e del buio scrive: “Il papa avrebbe dovuto soltanto piangere, di fronte alle televisioni di tutto il mondo, piangere, piangere, piangere, mettere tutto quello che c’è da dire in quel pianto muto, perché non c’è nient’altro da dire, perché è tutto così folle, così spaventoso, così suicida che non si può più neanche tentare di dirlo con le parole, si può solo piangere. E questo non per un giorno, due giorni, un mese, due mesi, ma per un anno intero. Solo questo pianto inarrestabile, disperato. E allora, forse, a un certo punto, anche gli altri umani si sarebbero messi a piangere, tutto il mondo si sarebbe messo a piangere, a piangere e basta, avrebbe messo dentro a quel pianto tutto quello che non riesce a comprendere e a dire, perché il nostro linguaggio non è in grado di riuscire a dirlo, non è tarato per questo, ma per conservare se stesso scavalcando i suoi precipizi, gli umani avrebbero capito quello che non si può comprendere con le parole ma solo piangendo insieme, disperatamente, senza riuscire a fermarsi. E allora, forse, alla fine, dopo avere pianto disperatamente, per un anno intero, le persone si sarebbero sentite più leggere, tutto il mondo sarebbe diventato più leggero, tutti i corpi scossi dagli ultimi violenti singhiozzi si sarebbero sentiti come rigenerati.”

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