In cosa consiste la linea dura di Putin nei negoziati con l'Ucraina

No all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, un impegno esplicito dell’Alleanza Atlantica a fermare la sua espansione verso Est, revoca delle sanzioni alla Russia e, ovviamente, riconoscimento dell’occupazione degli oblast ucraini conquistati dalle truppe di Mosca nei tre anni di invasione del Paese limitrofo: sarebbero queste le principali condizioni che Vladimir Putin e il suo governo vorrebbero presentare come base di un accordo di pace che ponga fine al più sanguinoso conflitto combattuto in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Lo ha riportato la Reuters nella giornata di ieri, citando tre fonti di alto rango dell’amministrazione politica russa per commentare le prospettive del negoziato tra Mosca e Kiev iniziato a Istanbul il 15 maggio scorso e che il Cremlino propone di rilanciare nella giornata del 2 giugno nella medesima città. La linea dura della Russia La narrazione che la Russia propone a fondamento delle sue proposte è nota: Mosca rivendica un vantaggio sul campo di battaglia e di conseguenza ritiene di sentirsi in diritto di dettare le condizioni. Discendono da queste chiavi di lettura i reiterati rifiuti a ogni prospettiva di applicare un cessate il fuoco come premessa alle trattative nonostante le reiterate richieste giunte dalla stessa Ucraina, dai suoi alleati europei e, da ultimo, anche dagli Stati Uniti. Deriva da questo pensiero anche la scelta di Putin di non fare alcuna concessione concreta al presidente americano Donald Trump, dopo che questi ha cercato per mesi di portare il leader di Mosca a una soluzione del conflitto ucraino. Un passaggio fondamentale per sviluppare la trattativa diretta tra Russia e Ucraina iniziata il 15 maggio avrebbe dovuto essere la definizione delle priorità comuni di Mosca e Kiev per giungere a una pace. “Dopo aver parlato con Trump per più di due ore la scorsa settimana, Putin ha dichiarato di aver accettato di collaborare con l'Ucraina su un memorandum che avrebbe definito le linee generali di un accordo di pace, inclusi i tempi per un cessate il fuoco”, scrive il Moscow Times, aggiungendo che “la Russia afferma di stare attualmente redigendo la sua versione del memorandum e di non essere in grado di stimare quanto tempo ci vorrà”, nonostante dall’Ucraina e dai Paesi occidentali siano arrivate numerose pressioni su Mosca. Quanto rivelato dalla Reuters lascia pensare che Putin sia pronto a dettare condizioni draconiane e inaccettabili per l’Ucraina e, dunque, a rendere più difficile ogni negoziato, compreso quello proposto per lunedì in Turchia. Mosca si ritiene in vantaggio Mosca si muove in questo modo perché Putin considera a portata di mano la vittoria nella guerra e non vuole rinunciare all’ obiettivo. Una fonte d’alto rango vicina al Cremlino ha infatti dichiarato alla Reuters che “se Putin si renderà conto di non essere in grado di raggiungere un accordo di pace alle sue condizioni, cercherà di dimostrare agli ucraini e agli europei, attraverso la forza militare, che la pace di domani sarà ancora più dolorosa". Secondo la fonte, "Putin è pronto a fare la pace, ma non a qualsiasi prezzo". In altre parole, è pronto a trattare se potrà dettare le linee operative del negoziato. Un approccio unilaterale che, a ben guardare, Putin ha tenuto fin dall’inizio dell’attuale fase di confronto per la fine del conflitto, prima nel quadro del dialogo russo-americano avviato dalle sue chiamate con Trump e poi nel suo approccio diretto a Kiev. Probabilmente in un modus operandi così poco attento all’etichetta diplomatica può avere influito anche la sostanziale delegittimazione dell’Ucraina operata nei primi mesi della seconda presidenza Trump dall’inquilino della Casa Bianca e dal suo vice, J.D. Vance, che hanno operato per ridimensionare il peso politico e diplomatico del presidente Volodymyr Zelensky, fornendo indirette sponde a Mosca. La replica ucraina: "Richieste massimaliste" Dopo che l’Occidente è tornato compatto nel chiedere alla Russia un cessate il fuoco come precondizione per il negoziato e che anche Washington mostra di star perdendo la pazienza per l’atteggiamento dilatatorio di Mosca, le nuove richieste di Putin rischiano di far deragliare in partenza anche la trattativa di Istanbul. Fonti ucraine parlando con Al Jazeera hanno definito “richieste massimaliste" quelle di Mosca, che nel frattempo unisce alla spericolata strategia negoziale un aumento della pressione militare su Kiev. La situazione sul campo Sul campo di battaglia, le truppe russe avanzano con difficoltà e a rilento, senza riuscire a capitalizzare fino in fondo il vantaggio in termini di uomini e mezzi che hanno a disposizione, mentre come scritto su queste colonne il maggior strumento di pressione è oggi rappresentato dai raid aerei e missilistici contro le città e le infrastrutture ucraine. I bombardamenti sull’Ucraina sono usati da Mosca per rafforzare la narrazione di un vantaggio strategico che, nei fatti, è ben meno cospicuo di quanto la Russia voglia ammettere e per alimentare l’idea che la fine della guerra alle condizioni russe oggi sia per gli ucraini una soluzione migliore di un’incerta e ancor più penalizzante situazione di pace domani. Appare sempre più chiaro che saranno gli equilibri che si creeranno sul campo di battaglia dopo la campagna estiva e lo sviluppo dell’attuale fase offensiva russa a capire in che misura la scommessa di Mosca potrà rivelarsi favorevole alle strategie del Cremlino. La realtà dei fatti parla chiaro: ad oggi, la Russia non ha ancora vinto la guerra ma al contempo dimostra di non aver alcuna fretta di chiuderla. Ogni ragionamento strategico degli alleati dell’Ucraina, in particolare degli europei intenti a rafforzare il sostegno militare a Kiev, si sta adattando a questa consapevolezza. Ad oggi, chi lesina sul rilancio del sostegno militare sono gli Usa di Trump: per l’Ucraina, la speranza è che la presa di consapevolezza di un sostanziale rifiuto russo a trattare su basi realistiche convinca anche Washington a far riprendere l’appoggio al Paese invaso. L’estate sarà decisiva su ogni fronte per i nuovi equilibri militari e diplomatici.

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