Shreya, studentessa indiana ad Harvard: “Il nostro futuro è a rischio”

Quando Shreya Mishra Reddy ha lasciato l'India quattro anni fa per raggiungere gli Stati Uniti ha esaudito il sogno di una vita. Ha conseguito un master, ha trovato lavoro, ha fatto carriera. Ora, però, il suo futuro come studentessa ad Harvard è “incerto e preoccupante”. La decisione del presidente statunitense Donald Trump di bloccare l'ammissione di studenti stranieri nella prestigiosa università di Cambridge, in Massachusetts, rischia di avere ripercussioni sul suo percorso accademico e professionale. E su quello di migliaia di altre ragazze e ragazzi. La comunicazione ufficiale è arrivata il 23 maggio, con una lettera inviata dalla segretaria alla sicurezza interna Kristi Noem: "Vi scrivo per informarvi che, con effetto immediato, la certificazione del programma per studenti e visitatori stranieri dell'università di Harvard è revocata”. Tradotto: tutti gli studenti internazionali iscritti, circa 6.800 quest'anno, dovranno trasferirsi in un altro ateneo o perderanno il loro status legale. La decisione dell'amministrazione Trump è stata motivata da ragioni di “sicurezza”, con l'accusa nei confronti di Harvard di aver creato un "ambiente universitario pericoloso e non sicuro" nel campus. In particolare, il Dipartimento per la Sicurezza Interna si è rivolto ai vertici dell'ateneo incolpandoli di aver consentito “ad agitatori anti-americani e filo-terroristi di molestare e aggredire fisicamente individui, compresi molti studenti ebrei, e di ostacolare in altri modi l’ambiente accademico un tempo prestigioso”. La risposta di Harvard è arrivata poco dopo, con l'annuncio di una causa contro l'amministrazione Trump. Al blocco della Casa Bianca ha fatto seguito anche la decisione di un giudice federale che, accogliendo la mozione presentata dall'università, ha bloccato temporaneamente il divieto imposto dal tycoon, fino al 29 maggio, giorno di una nuova udienza. “La mia prima reazione è stata di totale shock e sgomento”, ha raccontato a Sky Tg24 Insider Shreya Mishra Reddy, ingegnera indiana di 33 anni che attualmente frequenta un programma per lo Sviluppo della Leadership alla Harvard Business School. “Tecnicamente si può essere espulsi se non ci si trasferisce in un'altra università: il problema è che siamo a metà dell'anno accademico e ottenere l'ammissione in un altro ateneo è estremamente difficile”, ha spiegato Reddy. “Noi studenti internazionali siamo qui solo per studiare, per laurearci, per ricevere un'istruzione eccellente. La nostra situazione merita un po' più di attenzione da parte del presidente Trump, perché siamo una comunità senza voce, non abbiamo un posto al tavolo delle trattative e non possiamo esprimere le nostre opinioni”, ha ribadito l'ingegnera. "Viviamo in uno stato di preoccupazione, ansia e paura costante: non sappiamo se ci sarà permesso rimanere negli Stati Uniti, se saremo in grado di lavorare per estinguere il nostro enorme debito studentesco, se saremo espulsi dal Paese", ha aggiunto. Lei è nata in India e nel 2021 si è trasferita negli Stati Uniti. Come descriverebbe la sua esperienza negli Usa? Mi sono trasferita dall'India negli Stati Uniti nel dicembre 2021 per frequentare un master alla Duke University. Ho iniziato il mio percorso a gennaio 2022 e mi sono laureata l'anno successivo. In seguito sono entrata a far parte del team di Visa ad Austin, in Texas. E poi, sono stata ammessa al programma di leadership alla Harvard Business School. Quando sono arrivata negli Usa la prima volta è stato fantastico: l'atmosfera era molto accogliente, tutti i professori e gli studenti del campus mi hanno fatta subito sentire a casa. Quello per gli Stati Uniti è stato il mio primo volo dal mio Paese d'origine. Al mio arrivo, non avevo né amici né familiari ad accogliermi. E da questo punto di vista è stata un'esperienza molto difficile: trasferirmi in un nuovo Paese, cercare di stabilirmi, lasciare tutta la mia vita in India alle spalle. Qual è stato il suo percorso di studi? Sono un'ingegnera. Ho un master in Business Administration, conseguito in India, e uno in Ingegneria Gestionale, alla Duke University. Attualmente lavoro in Visa come responsabile del programma tecnico: mi occupo di gestire i loro progetti di sviluppo software e dirigere un paio di progetti ad Austin, in Texas. Parallelamente, frequento il programma per lo Sviluppo della Leadership alla Harvard Business School. Di cosa si tratta nello specifico? È un programma fondamentalmente pensato per professionisti e dirigenti. È progettato per fornire allo studente tutto ciò di cui ha bisogno per imparare a essere un manager in uffici aziendali di alto livello. Poi insegna tutto il resto: materie che vanno dalle operations alla strategia, dalle negoziazioni al marketing, dalla finanza alla contabilità... qualsiasi cosa. Il programma è, di fatto, un mix di corsi online e lezioni con i professori in sede. Pochi giorni fa l'amministrazione statunitense di Donald Trump ha annunciato il divieto di ammissione degli studenti stranieri ad Harvard. Qual è stata la prima cosa che ha pensato? Il mio primo pensiero è andato al mio percorso professionale. So che è piuttosto egoistico, ma ero preoccupata per me stessa, per la mia laurea. Dovrei iniziare l'ultimo modulo del programma ad Harvard il prossimo 28 maggio. E solo dopo averlo concluso potrò finalmente ottenere lo status di “ex studente alla Harvard Business School”, che è ciò che sogno da quando ho dieci anni. La mia prima reazione è stata di totale shock e sgomento. Oggi, a mente lucida, mi rendo conto che le ripercussioni sono molto più grandi. La decisione di Trump non ha un impatto solo sugli studenti della Business School come me, ma anche su quelli della Harvard University. Per molti, si tratta della loro prima laurea, della prima esperienza all'estero. Molti di loro hanno investito tutto quello che avevano in questo prestigioso ateneo. Si tratta di un quadro molto cupo per il futuro della comunità studentesca internazionale negli Stati Uniti. Quale scenario potrebbe aprirsi, secondo lei? Se le cose ad Harvard non dovessero “andare bene”, non sappiamo che cosa succederà dopo o quale impatto tutto questo avrà sulle altre università statunitensi. Probabilmente ci sarebbe un effetto a cascata, con politiche simili anche in altri atenei. In un dato anno accademico, si registrano oltre un milione di studenti stranieri sul suolo americano: persone che sognano di vivere un'esperienza professionale migliore, di fare un prezioso percorso accademico in un Paese come gli Stati Uniti. Un Paese che dovrebbe essere un rifugio sicuro, dove poter imparare, studiare, diventare leader, e anche contribuire all'economia statunitense. Adesso c'è grande incertezza. Non trovo le parole, sono giorni molto bui. Che cosa ne pensa della decisione di Trump? Sto cercando di capire il punto di vista del presidente Trump. Sta cercando di fare tutto ciò che è in suo diritto per “rendere di nuovo grande l'America”, che è il suo obiettivo. E come presidente, penso che stia cercando di fare tutto il possibile per gli Stati Uniti e che tutte le sue politiche mirino a farli diventare il Paese più grande del mondo. Ma allo stesso tempo, non capisco il motivo di imporre un divieto assoluto per gli studenti stranieri, quando la maggior parte della comunità studentesca internazionale probabilmente non ha nulla a che fare con la politica estera di cui parla Trump. Gli allievi sono qui solo per studiare, per laurearsi, per ricevere un'istruzione eccellente, e poi tornarsene a casa in pace. Credo che la situazione degli studenti stranieri meriti un po' più di attenzione da parte dell'amministrazione Trump e di tutti i decisori politici. In questo momento sembra che nessuno pensi davvero alla nostra categoria, perché siamo una comunità senza voce. Non abbiamo un posto al tavolo delle trattative, non possiamo esprimere le nostre opinioni. Si parla spesso di Harvard, di come influenzerà l'università, si discute di quale sia la politica, se le regole in materia di immigrazione siano giuste o sbagliate. Ma nessuno si preoccupa veramente di ciò che gli studenti internazionali devono affrontare, soprattutto considerando il fatto che ci sono così tanti cambiamenti politici in atto quotidianamente. Anche alcune testate giornalistiche non sono state gentili con noi... Per esempio? Ieri ho letto un articolo che diceva che Trump sta cercando di “realizzare il sogno americano” e che “Harvard è la prossima sulla linea di fuoco”. Mi è sembrato molto sfacciato, perché non tiene conto di ciò che prova uno studente straniero di Harvard o uno che vorrebbe andarci. Con tutti i recenti cambiamenti politici, anche se non entrano in vigore immediatamente, si verifica un'ondata di incertezza e di disperazione che colpisce ripetutamente tutti gli studenti internazionali. Ci troviamo in uno stato di paura costante: viviamo nella preoccupazione e nell'ansia per ciò che accadrà al nostro visto. Non sappiamo se ci sarà permesso rimanere negli Stati Uniti o meno, se saremo in grado di lavorare per estinguere il nostro enorme debito studentesco, se saremo espulsi dal Paese. Quindi penso che questo stia creando un ambiente molto difficile per tutti gli studenti stranieri, non solo quelli di Harvard. Credo che queste persone vengano continuamente emarginate. Quale impatto potrebbe avere la decisione di Trump sul suo programma ad Harvard? Al momento, l'università ha comunicato che il mio programma probabilmente non subirà ripercussioni e che mi sarà permesso tornare nel campus, forse. Ma non sono comunque sollevata. Ci sono circa 7.000 altri studenti stranieri a rischio. E il problema è più ampio. Basti pensare che, come riportano alcuni media nazionali, è stato revocato il visto B-1 a un gruppo di delegati indiani giunti negli Stati Uniti per una conferenza. Non era un visto studentesco, ma addirittura un visto di affari... Che cosa significa, secondo lei? Penso che sia il segnale di un problema più vasto e molto più difficile da gestire, che non riguarda solo il visto F-1 , che è quello che possiedo io. Due settimane fa, nessuno di noi avrebbe mai pensato che si sarebbe verificata questa situazione e che l'amministrazione potesse arrivare a tanto, imponendo a tutti gli studenti internazionali di trasferirsi fuori da Harvard. Non è comunque stata una notizia inaspettata. Non ho idea di cosa succederà al mio status o a quello di altre persone come me. Altri compagni di corso vivono la sua stessa situazione? Sì. Altri studenti che conosco, iscritti a corsi di laurea magistrale o triennale, non hanno assolutamente idea di quali saranno i prossimi passi. In generale, c'è molta preoccupazione e ansia perché, tecnicamente, si può essere espulsi se non ci si trasferisce in un'altra università. Per questo, alcuni studenti hanno già iniziato a pensare al trasferimento, altri si sono già rivolti ad avvocati specializzati in immigrazione. Il problema è che siamo a metà dell'anno accademico e ottenere l'ammissione in un altro ateneo è estremamente difficile. Penso che sia un periodo completamente caotico e confuso per tutti, nel campus e fuori. Sembra tutt'altro che finita, questa situazione va avanti da tempo e non sembra risolversi. Un giudice federale ha bloccato temporaneamente la decisione di Donald Trump consentendo ad Harvard di continuare a iscrivere studenti internazionali fino a una nuova udienza fissata per il 29 maggio. Sarà una data importante, in cui si deciderà se prorogare l'ordine o meno. Cosa si aspetta? Anche se il giudice ha sospeso il divieto, credo che la situazione non cambierà mai senza un pacifico compromesso tra le due parti. Continueremo a vedere situazioni del genere, che continueranno ad avere un impatto sugli studenti internazionali. E non è una situazione sana per noi. Lei che cosa farà adesso? Io ho intenzione di tornare nel campus, come previsto per il momento. Non voglio pensare a un'alternativa perché frequentare Harvard non è mai stato solo una questione di laurea per me. È stato il sogno di una vita: non solo il mio, ma anche quello dei miei genitori e di tutta la mia famiglia. Essere ammessi in una delle università più prestigiose del mondo significava per noi molto di più di una semplice laurea o del semplice status di “ex alunno”. Poter studiare lì, poter andare al campus, discutere con i professori, socializzare con i compagni di corso, imparare da loro ha molto più valore che ottenere lo stesso tipo di laurea o lo stesso tipo di diploma in qualsiasi altra università negli Stati Uniti o nel mondo. Che cosa significa per lei Harvard? Mi vengono i brividi al pensiero, significa tantissimo. Per me Harvard rappresenta tutto ciò che è vero, buono, giusto al mondo. Mi ha insegnato che cos'è veramente l'etica. Ho imparato tantissimo dai professori, anche fuori dalle aule. Ci hanno insegnato a essere non solo dei leader e dei manager migliori, ma anche delle persone migliori. Per questo ho molta fiducia in Harvard e so che farà la scelta giusta per i suoi studenti internazionali, perché sa che non siamo solo numeri, non siamo solo quel 27% del corpo studentesco. Harvard riconosce che tutti noi contribuiamo alla vivace comunità, alla ricerca accademica. Come ho letto in una dichiarazione ufficiale dell'ateneo rilasciata due giorni fa, “Harvard non sarebbe Harvard senza i suoi studenti internazionali”. È un'affermazione molto coraggiosa da parte di un'università così prestigiosa, alla luce di tutto quello che sta succedendo con l'amministrazione Trump. Questo mi ha dato molto conforto e ha rafforzato la mia fiducia nel mio ateneo. Qualunque cosa accada, l'università ci sosterrà e farà la cosa giusta per noi.

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