Trump sdogana la Siria di Al-Sharaa: assist alle monarchie del Golfo, schiaffo a Netanyahu

La visita di Donald Trump nel Golfo Persico ha rappresentato l’occasione per gli Usa di inaugurare una nuova fase con il nuovo governo siriano nato dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Nel corso della visita di due giorni in Arabia Saudita, prima tappa di un tour che lo porterà anche in Qatar e Emirati Arabi Uniti, il presidente americano ha imposto una netta accelerazione sulla normalizzazione delle relazioni con la Siria, annunciato l’imminente rimozione delle sanzioni a Damasco e incontrato per un breve colloquio il presidente ad interim Ahmad al-Sharaa. Una serie di mosse che ha implicazioni geopolitiche importanti non solo per quanto riguarda il futuro della Siria ma anche per gli equilibri regionali. Una sponda col Golfo da Trump Sostanzialmente, il riavvicinamento americano a Damasco rappresenta un’apertura notevole alle istanze politiche delle monarchie del Golfo che stanno ospitando Trump nella sua missione di quattro giorni e un’ulteriore delusione inflitta a Israele da un presidente che più volte si è presentato come ferreo sostenitore dello Stato Ebraico e del suo primo ministro Benjamin Netanyahu. Da mesi, infatti, diverse potenze mediorientali chiedevano a gran voce la fine delle sanzioni occidentali alla Siria dopo la caduta di Assad propiziata tra novembre e dicembre 2024 dai ribelli guidati da Hayat Tahrir al-Sham, il movimento comandato da al-Sharaa, anche noto col nome de guerre Abu Mohammad al-Jolani. Assieme alla Turchia, prima sostenitrice del nuovo governo di Damasco sul fronte militare e d’intelligence, i Paesi della Penisola Arabica hanno promosso una crescente attenzione alla Siria di al-Sharaa, insediatosi come presidente ad interim del Paese, puntando soprattutto ai lauti affari che la ricostruzione del Paese potrà garantire. Meno sanzioni e più affari Come nota il Center for Strategic and International Studies, nella sua azione diplomatica “al-Sharaa ha dato priorità alla necessità di revocare le sanzioni, considerata fondamentale per la stabilità e la ripresa della Siria, sollevando la questione costantemente con gli interlocutori stranieri” da lui incontrati, compreso il presidente francese Emmanuel Macron che l’ha ospitato il 7 maggio a Parigi. Per il Csis, la scelta di Trump di annunciare l’avvicinamento alla Siria in Arabia Saudita potrebbe esser legata alla volontà di mostrare l’apertura di Washington alle istanze delle monarchie del Golfo, ben consce del fatto che “le sanzioni hanno soffocato gli investimenti e ostacolato gli sforzi per la ricostruzione siriana” da loro promossi. In quest’ottica, “il presidente potrebbe aver calcolato che questa mossa avrebbe prodotto non solo la benevolenza del Golfo, ma avrebbe anche contribuito a facilitare accordi redditizi con aziende statunitensi e investimenti su larga scala, risultati attesi dal suo viaggio”. Tutte queste mosse non mancheranno di suscitare scalpore nel governo israeliano di Benjamin Netanyahu, che da tempo vede emergere diversi elementi di criticità nel rapporto con gli Usa. Trump delude Netanyahu Nelle scorse settimane, Israele ha bombardato in continuazione la Siria, arrivando a colpire aree di Damasco vicine al palazzo presidenziale dove risiede al-Sharaa, con l’obiettivo di mettere pressione all’ex ribelle divenuto capo di Stato e condizionare la sua strategia orientata alla riunificazione graduale del Paese. Il ministro della Difesa di Netanyahu, Israel Katz, ha definito al-Sharaa un “leader del terrorismo islamista”. Trump lo ha invece legittimato anche agli occhi degli Usa come presidente e rappresentante della Siria. Il presidente americano è stato il primo capo di Stato Usa a incontrare un omologo siriano da quando nel 2000 Bill Clinton ebbe un confronto con Hafez al-Assad a Ginevra. Le tempistiche del meeting parlano chiaro e mandano un messaggio a Israele, il cui massimalismo nella condotta della guerra a Gaza e il cui rifiuto di qualsiasi mediazione per riequilibrare la regione iniziano a irritare profondamente Washington. Come scritto su Ispi, gli Usa stanno a più riprese deludendo Tel Aviv, dato che “Trump finora ha declinato gli inviti a recarsi in Israele e ha spiazzato Netanyahu annunciando, senza preavviso, l’apertura di nuovi colloqui con Teheran sul programma nucleare”. Inoltre, “a definire il quadro, la settimana scorsa gli Stati Uniti hanno interrotto i raid aerei sullo Yemen, mentre Israele continua a colpire le postazioni dei ribelli Houthi”. L’incontro con al-Sharaa è l’ennesimo tassello di questo mosaico, propiziato dall’attenzione crescente data da Trump al rapporto coi principali patroni e sostenitori della nuova Siria, le potenze del Golfo. Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti, del resto, hanno dalla loro la possibilità di sdoganare ampi investimenti e opportunità commerciali per le aziende Usa, soddisfacendo gli appetiti di Trump, la cui postura diplomatica è innanzitutto orientata al versante affaristico. In nome di questa priorità Trump è disposto a un crescente distacco da Netanyahu che, almeno in questo momento, sembra in seconda fila nelle priorità del tycoon. Le conseguenze di questa svolta palese arrivano fino alla Siria. E potenzialmente possono contribuire a inaugurare una nuova fase per il Paese levantino che al-Sharaa guida da meno di sei mesi e che aspetta ancora di mettersi alle spalle i traumi di quattordici anni di guerra civile per pensare finalmente al suo futuro.

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