La Libia nel caos, scontri tra governo e milizie

La violenza in Libia torna a riaccendersi dopo che nella notte tra il 12 e il 13 maggio la capitale Tripoli è stata teatro di scontri tra gruppi armati che hanno causato almeno sette morti e la decisione da parte del governo di mettere al bando tutte le formazioni paramilitari dedite a supplire a diverse funzioni di pubblica sicurezza. A innescare la battaglia urbana è stata l’uccisione di Abdel Ghani al-Kikli, noto come “Gheniwa”, leader dell’Apparato di Supporto alla Stabilità , una milizia ufficialmente legata al Governo di Unità Nazionale internazionalmente riconosciuto e guidato da Abdul Hamid Dbeibah, ma la cui gestione dei migranti è oggetto di molteplici accuse. Dalla morte di al-Kikli alle violenze Al-Kikli, accusato da Amnesty International di essersi reso partecipe di torture, sequestri, omicidi e crimini contro l'umanità, era tra i più controversi protagonisti della rete di milizie che detengono ampie fette di potere a Tripoli. Nonostante le accuse a suo carico, a marzo aveva ricevuto da Malta un visto d’ingresso nell’Unione Europea e recarsi a Roma per fare visita a Adel Juma, ministro dell’Interno ricoverato nella capitale italiana dopo aver subito un attentato. Il militare sarebbe stato ucciso assieme alle sue guardie del corpo dopo essersi recato al quartier generale della 444a Brigata dell'esercito libico fedele al Gnu per una riunione convocata per sanare le tensioni emerse negli ultimi mesi tra le varie formazioni armate che si contendono potere e influenza a Tripoli. L’esercito all’attacco delle milizie La 444a Brigata ha poi proceduto a attaccare gli uffici dell'Ssa in tutta la capitale, provvedendo ad arrestare gli uomini di al-Kikli dopo aver occupato militarmente buona parte della città, dal porto alla sede dell'Agenzia per l'immigrazione illegale, organizzazione-cardine per il potere dei militanti vicini al governo desiderosi di mantenere autonomia e fonti di reddito alternative. Le milizie di Misurata e Zintan legate al Ministero dell'Interno si sono a loro volta mosse verso la capitale per dar manforte alle truppe fedeli al governo, e tra il 12 e il 13 maggio anche le unità delle Forze Speciali di Deterrenza, la famigerata Rada spesso accusata di crimini contro i migranti, sono state prese d'assalto dalla fanteria libica. La faida Dbeibah-Menfi Il primo ministro del Gnu, secondo le prime analisi, avrebbe lanciato l’operazione per eliminare le minacce alla sua autorità dentro la capitale e contrapporre alle forze rivali della Cirenaica guidate dal generale Khalifa Haftar un esecutivo più solido e meno condizionato dal potere delle milizie. Al contempo, avrebbe avuto l’obiettivo di incamerare i traffici gestiti dalla Saa e dalla Rada, legati soprattutto al traffico di migranti e al contrabbando. Il Libya Observer fa notare che Dbeibah “ha dichiarato la fine della presenza di gruppi armati che operano al di fuori dell'autorità dello Stato, affermando che solo l'esercito e la polizia sono riconosciuti come forze di sicurezza legittime”, anche se l’’analista libico Jalel Harchaoui ha dichiarato che l’operazione non si è conclusa col pieno successo. Alla prova dei fatti, non risulta che né il Saa né tantomeno la Rada siano state smantellate dall’offensiva dei governativi. A complicare i piani di Dbeibah è intervenuto il presidente del Consiglio Presidenziale, Mohamed Menfi, che si è opposto allo scioglimento della Rada, sottolineando che "il mantenimento della pace sociale nella capitale è una responsabilità collettiva che non può essere compromessa" e che "le istituzioni statali devono rimanere lontane dalle dispute politiche". Facendo riferimento alla possibilità che Haftar sfrutti il caos scoppiato a Tripoli per avanzare sulla capitale, Menfi ha dichiarato che "la situazione attuale richiede i più alti livelli di saggezza e di disciplina nazionale", perorando una spinta "all'unificazione del fronte interno" attorno a "un progetto nazionale globale che sbarri la strada ai sostenitori del caos". Una fragile tregua Nella mattina di oggi Tripoli, secondo i media locali, è tornata a una situazione di maggior calma e il Gnu ha parlato di un “cessate il fuoco” iniziato proprio alle prime ore del 14 maggio. Tuttavia, la situazione rimane volatile. La morte di al-Kikli e la frammentazione delle milizie potrebbero ridisegnare gli equilibri di potere nella capitale, ma il rischio di nuovi scontri è alto, soprattutto se le tensioni tra le forze regolari e la Rada da un lato e tra il premier Dbeibah e Menfi, che prova a sfruttare la situazione per guadagnare capitale politico, dall’altro si intensificheranno. La lotta per il controllo della capitale e delle fonti di reddito, come il traffico di migranti e il contrabbando, rimane un fattore chiave. Gli scontri hanno riportato alla luce la fragilità della capitale libica e l’incapacità del Gnu di controllare le milizie che dominano il territorio. Un messaggio tutt’altro che confortante per l’unità di un Paese spaccato in due che non ha ancora saputo superare l’annullamento delle elezioni del 2021, che avrebbero dovuto riunificare Tripolitania e Cirenaica, e si trova ora a dover sperimentare violenze e tensioni nella sua stessa capitale. Ormai, più che della Libia da tempo è corretto parlare delle Libie. Se la frammentazione raggiungesse livelli preoccupanti anche nella capitale, per il Paese nordafricano la situazione si farebbe oltremodo complicata.

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