L’eredità di Pepe Mujica, il presidente povero dell’Uruguay che voleva “cambiare il mondo”

A 89 anni se ne è andato Pepe Mujica, il guerrigliero che diventò presidente dell’Uruguay e che è stato una leggenda della sinistra nel mondo. È morto dopo una lunga malattia, il cancro dell’esofago prima e del fegato poi. Nella sua ultima apparizione pubblica, sei mesi fa, quando ha chiuso la campagna elettorale del suo candidato alla presidenza, Yamandù Orsi, è apparso stanco, debilitato, rassegnato alla malattia ma felice perché ha lasciato la sua eredità politica, il suo testimone, nelle mani dei giovani. Quella generazione che esortava a vivere con sobrietà perché – diceva – “più si ha, meno si è felici”. "Sono consapevole di appartenere a una generazione che se ne va, che si congeda. La lotta continua e deve sopravvivere", aveva detto in uno dei suoi ultimi atti politici. José Alberto Mujica Cordano, il presidente povero, come veniva chiamato per il suo stile di vita lontano da lustri e lusso, lascia tanti orfani in Uruguay e non solo. Le origini Nato a Paso de la Arena, quartiere rurale di Montevideo il 20 maggio del 1935, negli anni ‘60 divenne membro della guerriglia di sinistra Movimento di Liberazione Nazionale - Tupamaros, fu perseguitato dai militari saliti al potere con un golpe nel 1973. Durante la dittatura, trascorse dodici anni in prigione, per la maggior parte in isolamento, rinchiuso dai militari in una fossa di poco più di un metro quadrato. Raccontava di come in quel periodo addomesticò le rane e nutrì i topi per non impazzire. “Ho passato sette anni chiuso in una stanza piccolissima – raccontò in un’intervista a El Pais -. Senza un libro, senza niente da leggere. Mi portavano fuori una o due volte al mese per passeggiare nel cortile per mezz'ora. Sette anni così. Ero sull'orlo della pazzia. Ho imparato a camminare per un miglio dentro, avanti e indietro”. “Per rimanere sano di mente, ho iniziato a ricordare cose che avevo letto, cose che avevo pensato da giovane”. Dalla prigionia non uscì indenne, si ammalò gravemente, ebbe problemi alla vescica e alla fine perse un rene. Ma sopravvisse. Diceva spesso di essere uscito più saggio da quegli anni e per questo ha scelto di dedicarsi nel cercare di cambiare il mondo. Di origini umili, sua madre era un'orticoltrice e suo padre un piccolo allevatore che morì in povertà nel 1940, quando Mujica aveva sei anni. A 14 anni, partecipò alle proteste per i salari dei lavoratori del suo quartiere. Nel 1964 si unì al gruppo guerrigliero del Movimento di Liberazione Nazionale Tupamaros. Fu imprigionato quattro volte ed evase due volte, era uno dei 106 guerriglieri che fuggirono dal carcere di Punta Carretas, nel 1971, attraverso un tunnel scavato per mesi. Fu ricatturato l’anno successivo e fu uno dei nove ostaggi del regime militare. “Abbiamo dovuto combattere la follia, perché in quel tipo di prigione volevano renderci stupidi. E abbiamo trionfato: non siamo diventati stupidi" disse nel 2018, alla prima del film La notte dei 12 anni di Alvaro Brechner, pellicola che ricostruisce il periodo trascorso da Mujica e dai suoi compagni d'armi in quella prigione militare. “Sono uscito di prigione senza rancore” rispose a chi lo accusava di non aver fatto abbastanza, una volta presidente, per perseguire i militari responsabili di sparizioni e torture durante la dittatura. "Nella vita – disse ancora- ci sono ferite che non si rimarginano e bisogna imparare a continuare a vivere. So che ci sono persone che non mi sosterranno, ma scelgo una posizione più intelligente e meno sentimentale. Ecco perché non ho usato il mio potere per condannare i militari”. La vita politica e la battaglia per i diritti civili Una volta uscito di prigione, era tornato alla sua vera passione: la politica. Fu eletto deputato per Montevideo, per la prima volta, nel 1994; cinque anni dopo, nel 1999, diventò senatore. Anni in cui la sua popolarità ne ha fatto uno dei protagonisti della politica del Continente latino-americano. Nel 2010 divenne presidente dell’Uruguay con il 55% dei voti. Della semplicità e dell’austerità fece il suo modello di vita. Durante il suo mandato presidenziale non lasciò mai la sua piccola fattoria, a Rincón del Cerro, a mezz’ora dalla capitale. Fiero oppositore della corruzione, devolveva il 90% del suo stipendio alle organizzazioni non governative. Diceva che lo stipendio della moglie, senatrice, e la restante parte del suo gli permetteva di vivere più che bene. Ha vissuto lì, circondato dal suo orto, con la sua compagna di sempre, la moglie Lucía Topolansky Saavedra, conosciuta negli anni della lotta armata, da cui non ebbe figli perché – diceva - “dovevamo cambiare il mondo e abbiamo perso tempo”, in compagnia del suo cane a tre zampe Manuela e degli animali della fattoria, dal momento in cui è stato graziato nel 1985 fino alla sua morte. Fu in questo rifugio rurale che portò all'estremo il suo vivere minimalista. Mujica ha, spesso, risposto a chi lo dipingeva come "il presidente più povero del mondo": “Il mio mondo è questo, né migliore né peggiore, è un altro. La chiave è il morale. Il problema è che viviamo in un'epoca consumistica, in cui pensiamo che il successo nella vita significhi comprare cose nuove e pagare le rate. Di conseguenza, stiamo costruendo società auto-sfruttate. Abbiamo tempo per lavorare, ma non per vivere”. Ai giovani diceva: la libertà è "fare quello che vuoi della tua vita, il che all'improvviso equivale a comportarsi da stupidi, perché la cultura è figlia di questa stupidaggine". “La vita non è solo lavorare – ripeteva-. Bisogna dedicare un buon tempo per le pazzie che ognuno di noi ha, perché sei vivo quando usi il tuo tempo per correre dietro ad una passione, a qualcosa che ti dà davvero soddisfazione”. “Avere successo nella vita non significa fare soldi, ma rialzarsi e ricominciare ogni volta che si cade" disse nel 2020 durante il suo discorso in cui annunciava il ritiro dalla vita pubblica. La sua presidenza è stata contrassegnata dalla conquista dei diritti civili, come la depenalizzazione dell'aborto, l’approvazione del matrimonio omosessuale e la legalizzazione della cannabis ricreativa facendo così dell’Uruguay il primo Paese al mondo ad avviarsi alla legalizzazione. “Abbiamo applicato un principio molto semplice” disse Mujica a proposito dell’aborto. “Riconoscere i fatti. L’aborto è vecchio come il mondo”. “Quando è clandestino, la donna non va direttamente in clinica per abortire. Qui passa da uno psicologo e poi è ben accudita”. Riguardo al matrimonio tra persone dello stesso sesso sosteneva in un’intervista: “Dicono che sia moderno, ma è più antico di tutti noi. È una realtà oggettiva. Esiste e non legalizzarlo sarebbe torturare inutilmente le persone”. E della legalizzazione della marijuana spiegò: “È uno strumento per combattere il narcotraffico, che è un crimine grave, e per proteggere la società”. Ma precisava: “Gli stranieri non potranno venire in Uruguay a comprare marijuana; non esisterà il turismo della marijuana”. Durante il suo mandato, fece di questo piccolo Paese di quasi quattro milioni di abitanti che mai aveva avuto una particolare rilevanza a livello mondiale, un punto di riferimento nei nuovi organismi regionali dell’America Latina e dei Caraibi quando al potere, in diversi Paesi, coincisero più governi di stampo progressista. La vita austera, la sua semplicità, il suo linguaggio diretto, la sua lotta contro la corruzione e lo spreco, il suo impegno sociale, la sua capacità di parlare e bere mate sia con la gente comune che con i leader delle grandi potenze, e la sua tolleranza e costante ricerca di consenso con chi difendeva altre posizioni ideologiche, gli valsero il rispetto di tutti, anche di molti politici e persone con posizioni opposte alle sue. Ma non fu esente da critiche anche dalla sinistra che lo accusava, tra le altre cose, di non aver fatto progressi nella redistribuzione della ricchezza durante il suo mandato. Gli ultimi mesi Negli ultimi mesi, provato dalle cure per il tumore, diceva: "Mi sono dedicato a cambiare il mondo, e non ho cambiato un bel niente, ma mi sono divertito e ho dato un senso alla mia vita. Morirò felice. Ho passato il tempo a sognare, a lottare, a lottare. Mi hanno massacrato di botte e di tutto il resto. Non importa”. “Il mio ciclo è oramai compiuto. A dirla tutta, sto morendo e il guerriero ha diritto al suo riposo” rivelò quando annunciò di rinunciare alle cure. “Sto sistemando la fattoria perché chi rimane non debba preoccuparsene” disse. “Tutto è intestato a mia moglie, un essere superiore a cui devo ogni cosa”. Quando morirà, andrà al Movimento di Partecipazione Popolare come deciso dalla coppia. Alla moglie ha chiesto di essere sepolto sotto una sequoia che lui stesso ha piantato insieme alla sua adorata cagnolina. Ad annunciare ufficialmente la sua morte è stato il presidente Orsi che ha comunicato "con profondo dolore, la scomparsa del nostro compagno Pepe Mujica. Presidente, attivista, guida e leader. Ci mancherai molto, vecchio amico". Il giorno prima, la moglie aveva detto che era ormai terminale ed ora lo piangono i leader di diversi Paesi nel mondo. “Profondo rammarico” è stato espresso dal governo brasiliano. È stato “un grande amico del Brasile. Uno dei principali artefici dell'integrazione dell'America Latina e del Sud America e, soprattutto, uno degli umanisti più importanti del nostro tempo - si legge in una nota del Ministero degli Affari Esteri - Il suo impegno nel costruire un ordine internazionale più giusto, democratico e solidale è un esempio per tutti". Mujica è stato un "esempio per l'America Latina e per il mondo intero" per la sua saggezza e semplicità” ha detto la presidente messicana Claudia Sheinbaum. “È stato – ha ricordato il premier spagnolo Pedro Sanchez - un leader che ha vissuto e lottato “per un mondo migliore”. “La politica ha senso quando è vissuta così, con il cuore", ha poi aggiunto.

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